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Portale storico della Camera dei deputati

Stampe e dipinti del Palazzo di Montecitorio

Piazza Colonna, tempo di Carnavale

Piazza Colonna, tempo di Carnavale
Piazza Colonna, tempo di Carnavale
di J. Merigot

Il campanone del Campidoglio apriva i festeggiamenti del Carnevale. Una processione di carrozze sfarzosamente addobbate procedeva sotto una pioggia di fiori, di aranci, di confetti («i confettacci»). Le ammaccature e le lesioni prodotte da questi ultimi consigliarono nel 1821 la loro sostituzione con coriandoli coperti di farina e di zucchero.

«I1 Carnevale romano - nota il Kauffmann nelle sue Chroniques de Rome che risalgono al 1861 – ha un'antica reputazione di brio, di eccentricità, di follia, giustamente meritata: ciò che non gli impedisce di essere d'una galanteria ignota in Francia. Da noi, ci si riserba per i piaceri del ballo mascherato; in Italia, è sulla pubblica via che esplode la gioia, e la gioventù di ogni ceto sociale prende parte alla festa pubblica».

Le strade e in particolare la via del Corso erano il centro del Carnevale popolare a Roma; negli splendidi palazzi della nobiltà con il concorso di diplomatici residenti, di stranieri di passaggio e degli alti prelati della Curia erano organizzati i balli, con o senza maschera. L'attrazione più attesa del Carnevale era la corsa dei barberi (cavalli aizzati da aguzze punte che flagellavano loro i fianchi) e la processione dei «moccoletti» che chiudeva i festeggiamenti:

«Forse - scriveva Dickens nelle sue Pictures of Italy nel 1844 - considerando il numero delle persone mascherate, non si vedevano sostenuti o rappresentati molti caratteri reali; ma il piacere che si ricavava da quella scena consisteva principalmente nel perfetto buonumore che vi regnava sovrano; nella splendida, luminosa e infinita varietà di essa; nell'assoluto abbandono di ognuno all'umore pazzo del momento: abbandono così perfetto, così contagioso e così irresistibile, che lo straniero più serio combatte, immerso fino ai fianchi nei fiori e nei confetti, come il più ardente di tutti i romani, e non pensa ad altro, fino alle quattro e mezza, allorché (con suo grande rammarico), sentendo suonare le trombe e vedendo i dragoni che cominciano a sgombrare la via, si ricorda che quella non è l'unica occupazione della sua vita»