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Portale storico della Camera dei deputati

Presidenti

Giuseppe Colombo

Nasce a Milano il 18 dicembre 1836
Deceduto a Milano il 16 gennaio 1921
Laurea in Ingegneria; Insegnante di scuole superiori, Ingegnere

XX Legislatura del Regno d'Italia

Tornata del 16 novembre 1899

All'apertura della terza sessione della XX legislatura, il 15 novembre 1899, Giuseppe Colombo è eletto Presidente della Camera dei deputati con 198 voti su 387 votanti. Le opposizioni sostengono, invece, la candidatura di Giuseppe Biancheri, che riporta 179 voti. Nel discorso di insediamento, Colombo deplora le manovre ostruzionistiche della precedente sessione e afferma che bisogna impedire ad ogni costo che si diffonda una sensazione di inefficacia delle istituzioni parlamentari, a causa di momentanei, ma prolungati dissensi, che possono indebolire i sentimenti del popolo verso le istituzioni. Richiama, quindi, i deputati ad un uso rispettoso del Regolamento, onde evitare di dover fare ricorso a misure restrittive della libertà di parola per impedirne l'abuso. Invita, quindi, i deputati ad accantonare i contrasti e ad operare in nome dei «più immediati vitali interessi» dell'Italia, approvando al più presto le leggi dirette a consolidare l'economia nazionale e creando il clima di stabilità indispensabile per lo sviluppo economico del Paese.

Presidente. (Vivi segni d'attenzione). Onorevoli colleghi. Io vi sono grato dal profondo dell'animo della fiducia della quale mi avete voluto onorare, affidandomi l'altissimo ufficio di presiedere ai vostri lavori. Nessun onore può eguagliare quello di dirigere le discussioni dell'Assemblea di una grande nazione; e l'averlo ottenuto dal vostro benevolo suffragio sarà il più caro e incancellabile ricordo della mia vita politica. Assumendo questo alto incarico, io non mi dissimulo l'insufficienza mia; e tanto più ne ho la coscienza, quando penso agli uomini illustri che mi hanno preceduto in questo seggio, i quali, forti dell'autorità conquistata col senno politico e con le benemerenze patriottiche, hanno saputo meritarsi in questo posto la stima e la gratitudine della Camera. Né posso dimenticare il mio eminente predecessore, il carissimo collega che da tanto tempo abbiamo appreso a rispettare e stimare, e pel quale nutriamo sempre un così vivo affetto, l'onorevole Chinaglia. (Bravo! - Approvazioni). Son certo anzi di interpretare il sentimento di tutti, portando a lui a nome vostro quel reverente saluto che le circostanze non ci permisero di dargli alla fine della passata Sessione. (Vivi applausi). Arduo è sempre il còmpito che ora sto per assumere; oggi, forse, più arduo che mai. Forse, conoscendo la pochezza delle mie forze, avrei dovuto rimaner tranquillo fra voi su quei banchi, e lasciar ad altri più autorevoli e migliori di me l'onore di presiedervi. Ma ho vinto l'incertezza che teneva sospeso l'animo mio, confortato dalla speranza che non venga mai a mancarmi il vostro appoggio. E d'altra parte, penso che ognuno in questa Camera deve pur assumere la sua parte di responsabilità, (Bene!) e, chiamato, rispondere all'appello, contribuendo, nella misura delle sue forze, al bene comune; né io ho voluto sottrarmi a quest'obbligo. Questi due sentimenti, la fiducia incrollabile in voi, carissimi colleghi, e l'idea del dovere, spieghino e giustifichino ai vostri occhi quello che può parere, ed è senza dubbio, un atto di temerità da parte mia. Se mi troverete impari al còmpito, non sarà certo per mancanza di buon volere: ho risposto all'appello e, col vostro aiuto, e comunque mi costi, cercherò di fare fino all'ultimo il dover mio. E, qualunque cosa avvenga, sarà sempre un compenso di gran lunga superiore al mio merito il pensiero che voi mi avete creduto degno del vostro suffragio. La situazione, è inutile dissimularlo, non appare priva di difficoltà (Segni d'attenzione); e io credo, che colui il quale ha l'altissimo onore di presiedervi, abbia anche l'obbligo di esprimere su di essa schiettamente il suo pensiero. (Nuovi segni d'attenzione). Onorevoli colleghi, a mantener vive e feconde le istituzioni rappresentative non bastano né il loro valore intrinseco, né virtù di Re, ma si richiede il continuo e vigilante concorso di tutti coloro ai quali il loro retto funzionamento è affidato (Benissimo!); è quindi grande la responsabilità dei rappresentanti della Nazione, cui incombe soprattutto il dovere di custodirne gelosamente il prestigio. Noi dobbiamo impedire ad ogni costo che si mettano in dubbio la suprema importanza politica e l'efficacia delle nostre istituzioni parlamentari; noi dobbiamo dimostrare che l'Aula parlamentare non è, come taluni mostrano di credere, una palestra di vani dibattiti, ma un tempio dove si trattano i più vitali interessi della Nazione, d'onde si irradia nel paese l'esempio di ogni civile virtù. (Bene! Bravo!) Ragioni anche legittime, sdegni anche generosi, possono turbare di tratto in tratto la serenità di questo ambiente; ma nella Camera italiana, che ha tradizioni così intemerate e gloriose, questi turbamenti non sono mai stati, né devono esser mai, che tempeste passeggiere dopo le quali torna a imperare la calma. (Benissimo!). Guai se ciò non fosse: guai se i vostri momentanei dissensi avessero, prolungandosi, a indebolire nell'animo delle popolazioni l'affetto per queste istituzioni, sotto l'egida delle quali si è fatta, e si è consolidata la patria. (Benissimo! Bravo!).Ma voi, onorevoli colleghi, dissiperete certo, coi vostri abituali e corretti procedimenti, queste vaghe apprensioni che turbano l'animo di molti patriotti sinceri. Voi sapete, per antica e invidiata consuetudine, come si possa mantenere, anche verso gli avversari politici, quella equanimità e quella tolleranza, che furono sempre il carattere distintivo, da tutti riconosciuto, dei nostri costumi parlamentari. Non v'ha dunque dubbio che continuerete a procedere con la stessa equanimità, rispettando egualmente i diritti di tutti: i diritti delle maggioranze, come quelli delle minoranze. (Benissimo!). Noi abbiamo il più liberale di tutti i Regolamenti, e questo forma il vanto della Camera italiana. Dobbiamo quindi esserne orgogliosi; dobbiamo dimostrare a tutti che non abbiamo bisogno di misure restrittive della libertà di parola per impedirne l'abuso (Vivissime approvazioni a sinistra). Per quanto mi riguarda, confido che potrete bensì tacciarmi di essere inabile, ma giammai di mancare a quella rigorosa imparzialità, della quale i miei predecessori mi hanno lasciato così splendidi esempi. Vorrei dirvi come vi disse qualche anno fa da questo posto un nostro illustre collega: «io mi considero il presidente non della maggioranza, ma della Camera.» E prendo impegno, e potete contare su di me, di rispettare lealmente e scrupolosamente il nostro Regolamento, pur usando del diritto, che esso mi conferisce, di temperare le vostre discussioni. Così io darò tutto me stesso, pur di conquistare la vostra fiducia. Onorevoli colleghi, l'augusta parola del Re ci ha invitati a discutere nuove leggi dirette a migliorare le condizioni economiche del paese. Ispiriamoci dunque al più puro amore della patria nostra, e facciamo comprendere al paese che al disopra dei nostri passaggeri dissensi, al disopra delle gare di partito, al disopra delle questioni di forma, al disopra di tutto, noi mettiamo i suoi più immediati vitali interessi. Occupiamoci, prima d'ogni altra cosa, di tutte le proposte che possano consolidare l'economia nazionale e fecondare quel rigoglioso risveglio che per molti sintomi si va manifestando, non in una sola parte d'Italia, ma dappertutto, dalle Alpi alla Sicilia. Il paese ha bisogno soprattutto di calma. Le vane agitazioni politiche non sono da lui comprese; non possono che turbarlo nel suo lento lavoro di consolidazione, e ritardare sempre più quel giorno, da tutti desiato, in cui l'Italia, diventata prospera e ricca, possa mantenere degnamente il posto che con la sua virtù politica ha saputo conquistarsi fra le nazioni. (Bene!) Possano le nostre discussioni essere tali che le popolazioni siano orgogliose di noi e ripongano in noi la più completa fiducia, sapendoci gelosi custodi degli interessi che ci hanno affidato. Possano esse esser tali da mantenere altissimo e intatto nell'animo loro il prestigio delle nostre libere istituzioni, all'infuori delle quali sarebbe vano sperare né libertà, né progresso. Il nostro Sovrano, inaugurando la Sessione, ha detto che gli italiani hanno gli occhi rivolti a noi e attendono fidenti l'opera nostra; ha soggiunto che il suo voto più caro, come Re e come Italiano, è che dall'opera nostra sia rinvigorita nel popolo la fiducia nelle istituzioni; e Voi avete coperto di applausi quelle parole che hanno trovato eco in tutti i cittadini d'Italia. Orbene, onorevoli colleghi, impegnamoci qui solennemente a secondare con tutte le nostre forze il voto del Re, e nel nome di Lui, cui mandiamo il nostro reverente saluto, accingiamoci alacremente e serenamente ai nostri lavori, bene augurando dei destini della patria. (Vivissimi e prolungati applausi). Prego gli onorevoli segretari e questori di voler prendere il loro posto al banco della Presidenza. Secondo l'articolo 7 del Regolamento mi farò un dovere di informare Sua Maestà il Re e il Senato del Regno della compiuta costituzione della Camera.

XX Legislatura del Regno d'Italia

Tornata del 3 aprile 1900

Il 31 marzo 1900 il Presidente della Camera Colombo rassegna le dimissioni a seguito dei disordini scoppiati in Aula durante la discussione della proposta di modificazioni al Regolamento della Camera, finalizzate a contrastare le manovre ostruzionistiche. Due giorni dopo, nella seduta del 2 aprile 1900, Colombo è confermato nella carica con un numero di suffragi maggiore rispetto alla precedente elezione. Riporta, infatti, 265 voti su 438 votanti. Nel prendere posto al banco della Presidenza, dichiara di non voler svolgere un discorso di insediamento, ma si limita ad esprimere la propria gratitudine all'Assemblea per «il largo suffragio» ottenuto.