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Portale storico della Camera dei deputati

Presidenti

Adriano Mari

IX Legislatura del Regno d'Italia

Tornata del 21 dicembre 1866

Presidente. Onorevoli colleghi! Vi è piaciuto darmi una nuova e grande testimonianza d'onore. Ve ne so grado; né mancherò di corrispondere meglio ch'io possa alla vostra fiducia. Rendo grazie in nome vostro agli onorevoli presidenti decani e agli altri onorevoli colleghi che componevano l'ufficio provvisorio di Presidenza per le prime sedute di questa nuova Sessione. Nel riassumere così arduo ufficio mi conforta il pensiero che le condizioni politiche d'Italia, mutate in meglio, ne renderanno più agevole l'adempimento. In questo breve periodo di tempo, dacché fu prorogata la precedente Sessione, grandi fatti sono avvenuti, ora tristi, ora lieti. Non tutto andò a seconda dei nostri desiderii. Pur troppo è vero; ma v'ha un fatto, che ogni dolore compensa. Le provincie di Venezia e di Mantova, che più a lungo durarono sotto l'oppressione straniera e con indomita costanza ne sopportarono i patimenti, ora ne sono redente. Un plebiscito, il più splendido e unanime che mai si sia dato, sanzionò la loro unione al regno d'Italia. Il giorno, che voi nella seduta del 21 giugno affrettaste coi più fervidi voti, è venuto. Nelle inespugnabili posizioni del Mincio e dell'Adige vegliano i nostri soldati; e gli eletti di Venezia e di Mantova sono qui, tra noi, a rappresentar la nazione. Questo faustissimo evento, ch'io reputo principalmente dovuto a quella saggia politica, la quale prevalse nelle deliberazioni del Parlamento italiano, apre un'èra novella nel nostro risorgimento; e, come ha influito potentemente a modificare la pubblica opinione, così non può che disporre gli animi vostri a più facili accordi. Perdonate se questo io vi dico; me ne danno facoltà la vostra benevolenza e l'alto ufficio che m'avete affidato; né fo che ripetere quanto da ogni parte si dice. Finché l'Austria occupava il Veneto con quei famosi baluardi non v'ha dubbio, le grandi questioni politiche dovevano preoccupare gli animi vostri. V'era una questione di vita, o di morte; e la incertezza dei nostri destini non potea che eccitare la divisione e le lotte dei partiti, tuttoché non fosse dissenso nei principii di libertà e nel grande scopo della impresa nazionale, bensì nei modi e nei mezzi. Ma ora (chi può negarlo?) noi ci troviamo in condizioni migliori. Se l'opera non può dirsi compiuta, è da sperare nel trionfo della civiltà e della giustizia, senza necessità di nuovi conflitti. Ma intanto per manifesto beneficio della Provvidenza, l'Italia che, or sono pochi anni, era divisa in tanti Stati più o meno, tranne il glorioso Piemonte, dipendenti dall'Austria, è fatta signora di sé. E, dacché la sua indipendenza è assicurata, altri doveri c'incombono; altri provvedimenti attende il paese dalle tranquille discussioni del Parlamento. Vero è che per conseguire, beni inestimabili, la libertà e la indipendenza altre nazioni ebbero a patire sacrifizi immensamente più gravi; ma giustizia vuole che, cessata la necessità, si riducano le troppo gravi spese, si restauri la finanza dello Stato, si schiudano le sorgenti della pubblica prosperità, si dia alle pubbliche amministrazioni più semplice ordinamento. A tutto questo si può provvedere, ed anzi si provvede meglio senza spirito di parte. Gli stranieri vi danno lode (né può dispiacervi) di fino accorgimento politico. In questi ultimi tempi (essi dicono) gl'Italiani non spinsero mai le gare dei partiti fino a compromettere la sorte della nazione; nei momenti di crise, o di pericolo, si trovarono sempre concordi, e il consiglio più savio prevalse. Ebbene, voi mostrerete non minore accorgimento nelle grandi questioni amministrative. Voi deste mirabile esempio di concordia nel deliberare i poteri o i sussidi per la guerra. Voi lo darete, io spero, nel discutere e deliberare i provvedimenti della pace. A questo io vi esorto, colleghi onorevoli, onde mi sia reso più agevole l'adempiere a sì arduo ufficio; e più ancora perché lo richiede il benessere della nazione. È una suprema necessità. Prima di procedere alle operazioni prescritte dal regolamento, m'incombe il penoso dovere di annunziarvi, o, meglio, rammentarvi che nel tempo della proroga abbiamo dovuto deplorare la perdita di tre nostri colleghi: l'onorevole Carlo Varese, deputato di Novi Ligure, l'onorevole Giovanni Chiassi, deputato di Bozzolo e l'onorevole Pier Carlo Boggio, deputato di Cuneo. Finché la mal ferma salute gliel consentiva, l'onorevole Varese fu assiduo e operoso nei lavori parlamentari. Era uomo di molta coltura, come si manifesta nelle opere storiche e letterarie da lui pubblicate. Nelle precedenti Legislature pronunziò alcuni discorsi, notevoli per l'acume dei suoi concetti e per un eloquio vivace, in cui l'attico sale mescevasi a forme che un nostro poeta chiamava paesane, adoperate in modo che non disdiceva alla dignità del Parlamento. Morì nel 15 settembre dopo lunga e tormentosa infermità. La morte dell'onorevole Chiassi non ismentì la sua vita. Nel 1848, giovanissimo ancora, accorse volontario a pugnare per la prima guerra nazionale. Fu nominato ufficiale a Roma nel 1849; luogotenente nei Cacciatori delle Alpi, dieci anni dopo; poi capitano nella brigata Reggio; e quindi colonnello nell'esercito meridionale. Combattendo da prode a Bezzecca, cadde estinto, mentre guidava il 5° reggimento dei volontari italiani. A lui mancò il supremo conforto di vedere sgombrate dalle soldatesche straniere le venete provincie, o assicurata la indipendenza della patria, per cui aveva tanto sofferto nelle prigioni e nell'esilio. Altro collega ci rapì la fortuna delle armi: l'avvocato Pier Carlo Boggio, cui la vita breve non impedì di acquistare chiarissimo nome. Altri ed utili servigi avrebbe potuto rendere al paese; ma l'amor di patria e il desiderio di affrontare maggiori e ignoti perigli lo trassero a immaturo fine. Voi ben ricordate come l'onorevole Boggio avesse pronto e sottile l'ingegno e ad ottimi studi educato, come nelle arti della strategia parlamentaria ei fosse abilissimo, e come dovesse annoverarsi fra quelli oratori che tanto più volentieri si ascoltano, quanto più rapida e improvvisa soccorre al pensiero la loro parola. L'ultimo atto della sua vita tra noi fu la relazione sul disegno di legge pei poteri straordinari al Governo del Re, affinché provvedesse alle necessità della guerra. Chi mai avrebbe detto che gli applausi, co' quali accoglieste allora le generose parole del Boggio, dovessero poi convertirsi in un mesto addio al desiderato collega? (Vivi segni di approvazione) In questo intervallo di tempo cessò di vivere anco Luigi Carlo Farini, se pure vita potea dirsi la sua dacché rimase colpito dalla più triste infermità. La sua morte ha trovato ancor vivo negli animi dei concittadini il dolore di una perdita, che già potea dirsi avvenuta i fatti di quest'uomo eminente, i grandi servigi da lui alla patria son noti. Mi basti il dire ch'ei seppe con l'energia del suo carattere, con l'azione e con gli scritti, secondare efficacemente l'ardita e saggia politica del conte di Cavour. (Bene!) Lasciate, o signori, che, prima di chiudere questa dolorosa rassegna, io porga un tributo alla memoria di un uomo che a molti di noi fu collega, e carissimo a quanti lo conobbero. Lasciate che ancora in quest'Aula suoni una voce di compianto per la perdita di Giovanni Battista Cassinis. (Sensazione) Benché non fosse più di questo Consesso, io ne sento il dovere. Ei fu cittadino di specchiatezza esemplare; fu profondo giureconsulto, egregio uomo di Stato; sostenne con onore, nella passata Legislatura, l'ufficio di presidente di quest'Assemblea. Il Cassinis lascia una grande eredità di affetti ed un nome onorato, dacché, sacrificando i suoi privati interessi, fu tra i primi che si adoperarono a far libera, grande, unita l'Italia. (Applausi)