Presidente. Le prime parole che a voi rivolgo debbono esprimervi le sincere mie grazie per l'alto onore che mi conferiste. A voi le rendo, non per compiere un semplice atto di doverosa convenienza, non pel solo intento d'imitare coloro che prima di me salirono questo onorevolissimo Seggio; ve le rendo perché corrispondono ad un sentimento da cui è profondamente l'animo mio compreso. La sponantea vostra dimostrazione mi ha vivamente commosso, e sarei ingrato se tardassi ad altamente dichiararlo. Mi ha commosso, perché mi è pegno della vostra stima e della vostra benevolenza, che sopra ogni cosa io apprezzo, e questo pegno mi è tanto più grato e prezioso perché, venendomi dato dopo che io presi per vari anni una parte all'amministrazione della cosa pubblica, mi rassicura che l'esercizio del potere non ruppe i nostri vincoli, non indebolì le nostre amicizie politiche. Mi ha commosso, perché, rappresentanti voi della nazione, gelosi e costanti custodi delle nostre libertà e della indipendenza nazionale, coi vostri suffragi mi deste una solenne ed irrefragabile testimonianza che riconoscete l'amore grandissimo che io porto e per quelle e per questa. Ma, nell'atto che a voi mi professo gratissimo per l'onore conferitomi, non vi nascondo che sento pure quanto sia grave e difficile l'ufficio che mi viene imposto; e lo sento siffattamente che se avessi dovuto dare ascolto soltanto all'inclinazione dell'animo mio, non avrei esitato un istante a pregarvi di avermene per iscusato. Ma nelle condizioni presenti ho respinto recisamente da me, come colpevole, questo pensiero. Non è quando l'orizzonte è mal sicuro; quando il Governo, fra gli ostacoli che lo circondano, procede animoso e tiene alta ed incontaminata la bandiera nazionale; quando ogni cittadino, facendo atto di abnegazione, d'ogni considerazione personale, deve prestare il concorso dell'opera e della vita sua a pro del paese, non è in simili frangenti che io poteva onestamente ritrarmi e ricusare quel servizio al quale mi chiamaste. No, onorevoli colleghi, io rimarrò al posto che la vostra fiducia mi ha assegnato, e cercherò, coll'efficacia del buon volere, di supplire alla debolezza delle mie forze. D'altra parte ho piena e sicura fede nel vostro senno e nell'illuminato vostro amore di patria, e sono certo che il compito mio sarà più facile, appunto perché sono più grandi le difficoltà che ci attorniano. I giorni che corrono sono gravi e richiederanno dal canto nostro grandi sacrifizi. Fra questi il primo che la patria attende da noi è di mettere in disparte ogni sentimento di suscettività personale, di porre fine ad ogni scissura di partiti, di unirci tutti in un solo e comune pensiero. La divisione delle parti, necessaria e opportuna negli Stati liberi pei tempi tranquilli, è fatale nei momenti in cui dobbiamo combattere un pericolo comune. L'esperienza del passato ci è dolorosa maestra: non rinnoviamo gli antichi errori, non facciamo che un'altra volta la storia ci abbia a dichiarare impotenti, perché fummo divisi. (Bravo! Bene!) L'Italia tutta, che ha rivolti i suoi sguardi verso questo Parlamento, e che ha riposto in noi un'immensa fiducia, non ci fa solo sentire le sue grida di dolore, ma c'invia pure un consiglio: ci consiglia di essere concordi e prudenti. (Vivi segni di approvazione) A concordia e prudenza ci chiamava altresì, ora non è molto, e in un solenne momento, la voce autorevole del Principe. Noi non saremo indifferenti a quel consiglio ed a questa voce. Noi procederemo uniti, ispirati da un solo e medesimo sentimento, dal desiderio di promuovere il bene della patria; non ci lascieremo sviare da questo cammino, e potremo così efficacemente cooperare al compimento della grande opera cui sono rivolte le cure del generoso nostro Sovrano, di quel Re che, prode soldato e lealissimo principe, come ottenne l'impero di tutti i nostri cuori, così seppe acquistare la stima di tutti i popoli civili e destare sì grandi speranze. (Applausi prolungati da tutte le parti)