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Portale storico della Camera dei deputati

Presidenti

Urbano Rattazzi

VIII Legislatura del Regno d'Italia

Tornata dell'11 marzo 1861

Presidente. Presiedere al lavoro legislativo di questo nobile Consesso eletto dal suffragio di ventidue milioni di cittadini, che dalle faldi delle Alpi si estendono agli estremi lidi della ferace Sicilia, è ufficio che oltrepassa di gran lunga la misura delle mie forze. Conscio della mia pochezza, non so vedere nell'onore, che mi venne da voi conferito, altro che una testimonianza d'affetto all'antica Camera Subalpina, la quale sostenne per dieci e più anni con ogni sorta di sacrifizio il Governo del Re nelle tre grandi guerre intraprese per l'indipendenza nazionale (Benissimo!) Il Principe ed il Popolo camminarono di conserva ispirandosi l'uno e l'altro a quel sentimento, da cui cotanta vita si diffonde nelle più belle pagine della nostra letteratura e della nostra storia. Gli è per questo che tutta Italia, prima ancora che si unisse in un solo Parlamento, e sotto lo scettro del valoroso e leale Monarca che ci regge, era già una negli animi, negl'intendimenti e nei voleri. Al plebiscito dell'urna precedette quello dei cuori (Bravo!): il primo non fu che la parola sensibile con cui manifestavasi all'Europa il voto interno che l'esilio, i dolori, la dignità conculcata, l'indipendenza della patria manomessa avevano maturato nell'animo di tutti. (Applausi) Al ristauro della nostra nazionalità concorsero con meravigliosa armonia gl'intelletti e le forze tutte della penisola. Da Goito a Marsala il soldato ed il volontario mandarono un solo grido, levarono una sola bandiera. E questa, possiamo dirlo, non fu oscurata da macchia, non contaminata da quei disordini e da quelle vendette, che spesso si accompagnano ai repentini rivolgimenti. Poche nazioni seppero superare tanti ostacoli, e passare per tante peripezie, senza che venissero menomamente turbati i grandi principi sui quali poggia l'ordine pubblico. Questo fatto venne testè rammentato con parole di lode dalla tribuna della liberissima Inghilterra, e da quella del Senato francese negli splendidi discorsi che colà si pronunziarono in nostro favore, e specialmente in quello dell'illustre Principe che, legato all'Italia da vincoli di sangue, dimostrasi così franco propugnatore della sua unità, e così giusto estimatore delle nostre condizioni politiche. (Applausi) Il sacro diritto, che così a noi, come a tutti i popoli della terra compete di rivendicare la loro indipendenza, riportò pure non ha guari una segnalata vittoria nell'Assemblea di Berlino, rappresentante anch'essa le generose aspirazioni della nazionalità germanica. (Bravo!) Il riconoscimento del nostro diritto per parte dell'opinione pubblica d'Europa è uno di quei fatti che pronunziano prossimo il termine delle dolorose vicissitudini, cui va da tanti anni soggetta la nostra patria, e per cui fu condannata sino ad ora a vivere vita misera, inoperosa, senza coscienza di sé, fatta ludibrio e scherno de' suoi oppressori. Il tratto di via che ancora ci separa dalla meta è ingombro da ostacoli di varia natura. Le due città più grandi, più potenti del passato, più italiane, se così posso esprimermi, di tutte le altre della penisola, rimangono ancora fuori della cerchia della monarchia nazionale. Noi non possiamo non rivolgere a quelle i nostri desideri, certi quali siamo che la gran legge dell'attrazione morale, a cui obbedisce il nostro moto, sortirà per quelle gli stessi benefici effetti che già sortì per tutte le altre, che fanno ora parte del nazionale consorzio. Questa Assemblea, chiamata ad ordinare la monarchia ed a continuarne l'opera nazionale, non poteva trarre auspicii di più lieto incominciamento che dalla presa dell'ultimo baluardo della reazione e del dispotismo. L'assedio di Gaeta porse occasione al valoroso nostro esercito ed alla nostra artiglieria di aggiungere nuovo lustro alle glorie già acquistate, e di porre fine ad una guerra provocata dai mali portamenti di un Governo resosi inviso per le sue arti di corruzione e per l'offesa fatta al sentimento nazionale. (Bene!) E furono queste le vere cagioni per cui mossero contro quello da tutte le terre d'Italia coraggiosi giovani, animati dall'amore di far grande e libera la patria, e dalla fiducia riposta nell'illustre loro capo, di cui mal sappiamo se più debba lodarsi in lui o la fede costante nella libertà, o l'affetto straordinario per l'Italia, o la devozione cavalleresca al più cavalleresco dei principi. (Applausi) Il moto popolare dell'Italia meridionale non vuol essere giudicato col diritto sanzionato dai trattati, ma con quello che trae la sua forza dalla coscienza pubblica e dal sentimento patrio, il quale è al di sopra di tutti i trattati e di tutte le esigenze diplomatiche. L'Inghilterra, la Francia, la Spagna, il Belgio, la Grecia e l'America obbedirono, nei loro moti nazionali, alla stessa legge e seguirono gli stessi principii. La lotta per l'indipendenza nazionale è antica tanto nel nuovo quanto nel vecchio mondo. E se tristi avvenimenti c'impedirono di tentarla prima, e se, tentata, l'attraversarono, non fecero e non faranno che, ripresa più e più volte con tenacità di volere e con concordia di proponimento, non sia per condursi a compimento. Il lavoro legislativo, cui siamo per porre mano, avrà appunto per iscopo di raffermare i legami che corrono fra le nuove e le vecchie provincie, di rassodare gli ordini tutti dello Stato, di moltiplicare i mezzi che si richiedono al conseguimento dell'assunto nazionale. La varietà delle nostre tradizioni, dei nostri costumi, delle nostre condizioni economiche troverà nella sapienza e nella larghezza dei vostri provvedimenti legislativi quell'equo componimento che l'indole speciale della Penisola comporta. È questa l'opera grande e difficile intorno alla quale dovremo travagliarci, se vogliamo dare forma esteriore e sensibile alla personalità nazionale dell'Italia. Lo scioglimento di un tanto problema, mentre agevolerà il compito della nostra indipendenza, coronerà altresì la lunga e faticosa opera della nostra restaurazione. Così l'Italia potrà finalmente affermare se stessa al cospetto d'Europa nell'unità della monarchia e del Parlamento. (Applausi generali prolungati) Nell'atto che prendo possesso del seggio di Presidenza, credo di essere interprete della Camera facendo distinti ringraziamenti al signor presidente decano ed all'intiero ufficio provvisorio per l'opera da loro con tanto senno e con tanto zelo prestata nella verificazione dei poteri. Essendo presenti alcuni deputati i quali non hanno ancora prestato giuramento, li inviterei a prestarlo.