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Portale storico della Camera dei deputati

Maggioritario: uninominale (1892-1913)

Già nel corso degli anni '80 del XIX secolo furono discussi diversi progetti per l'abolizione dello scrutinio di lista, criticato da più parti per non aver realizzato una reale dinamica competitiva tra partiti. Con la legge 5 maggio 1891, n. 210, fu, dunque, stabilito il ritorno al collegio uninominale, aprendo la strada ad una nuova tabella dei collegi (approvata con r.d. 14 giugno 1891, n. 280). Un anno dopo, la legge 28 giugno 1892, n. 315, modificò le norme sul ballottaggio, stabilendo che fosse eletto al primo turno il candidato che avesse ottenuto più di 1/6 dei voti degli elettori del collegio ed almeno la metà dei suffragi validamente espressi (al netto delle schede nulle).
Con la riforma del 1891-1892, la legislazione elettorale dell'età liberale trovò la sua sistemazione definitiva, grazie anche alla sedimentazione dei dibattiti politici ed accademici degli anni precedenti, nel senso dell'affermazione di un sistema uninominale maggioritario a doppio turno, sulla linea di quello costruito già all'avvio del regime rappresentativo nel 1848.
Con l'attivarsi, all'inizio del Novecento, di più complesse dinamiche politiche negli anni della prima evoluzione industriale dell'Italia, maturò nella classe dirigente liberale la scelta di intervenire nuovamente sul sistema elettorale, non però sul piano dei meccanismi di traduzione dei voti in seggi, ma sul piano dell'elettorato attivo, avviando il definitivo superamento della tradizionale concezione del diritto di voto come capacità. Con le leggi 30 giugno 1912, n. 665, e 22 giugno 1913, n. 648, poi raccolte e coordinate nel Testo unico 26 giugno 1913, n. 821, fu dunque introdotto il "quasi suffragio universale". Senza rinnegare il principio, tipico del liberalismo classico, che il diritto di voto era l'esercizio di una capacità e non un diritto soggettivo, fu realizzato un ampio allargamento della platea degli aventi diritto. Il diritto di voto fu infatti esteso ai cittadini maschi di oltre 30 anni, anche se analfabeti, ed ai cittadini di età compresa tra 21 e 30 anni che sapessero leggere e scrivere, o fossero in possesso dei requisiti fissati dalle precedenti leggi o avessero compiuto il servizio militare. Gli aventi diritto passarono così da 2.930.473 (1909) a 8.443.205. Date le caratteristiche sociali delle varie aree del paese, l'aumento degli elettori fu massimo in Sicilia, Sardegna, Calabria e Basilicata, mentre fu più limitato nelle regioni settentrionali. Un'altra, importante, novità riguardava gli italiani all'estero, per i quali si stabilì di consentire l'iscrizione in un'apposita lista elettorale.
La nuova legislazione del 1912-1913 migliorò notevolmente le procedure elettorali, introducendo la c.d "busta di stato", una busta unica nella quale l'elettore doveva inserire la scheda. Furono inoltre stabilite norme precise per la costituzione degli uffici elettorali e la nomina degli scrutatori, rafforzando la trasparenza del procedimento.
Con la riforma elettorale fu inoltre introdotta, nella forma del rimborso spese, l'indennità per i deputati, formalmente esclusa dallo Statuto albertino.
Fu invece rinviata, con l'approvazione di un ordine del giorno nel dibattito del 2 maggio 1912, la discussione sull'introduzione del suffragio femminile.
Non fu, infine, risolto il problema della sperequazione tra collegi e le elezioni continuarono svolgersi sulla base di circoscrizioni riferite al censimento della popolazione del 1882.