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Portale storico della Camera dei deputati

Presidenti

Vincenzo Gioberti

I Legislatura del Regno di Sardegna

Tornata del 20 ottobre 1848

Presidente. sale alla scranna presidenziale fra gli applausi di tutta la Camera e delle tribune, e legge il seguente discorso: Signori, alcuni mesi addietro voi mi onoravate con accordo benevolo di questo seggio; e io comparando la debolezza delle mie forze e la tenuità dei meriti colla grandezza del carico, mi risolveva che conferendomelo, voleste in me retribuire l'amore della patria, e i dolori sofferenti nell'esilio. Ora vedendomi esaltato allo stesso grado in questo secondo periodo del Parlamento, vo pensando che possa avervi mossi a rinnovare la cortesia antica; e non sono sì cieco di me medesimo, che a presunta perizia del mio canto lo attribuisca; quando io rozzo nei piati e poco esperto degli usi parlamentari, dovrei anzi per tal rispetto essere escluso. Qual è dunque la parte che in me voleste rimunerare colla nuova elezione? Io credo di appormi, attribuendovi il generoso pensiero di porgere benigna approvazione alla fermezza dei miei pareri politici; la qual non è certo un mio privilegio, ma non essendo in me accompagnata da doti più cospicue, fa sì che a lei sola e non ad altro il dono offertomi si riferisca. E se questo non sovrastasse di troppo grande intervallo, io potrei per tal verso meno arrossirne; perché in vero la costanza civile è una delle poche lodi che posso in coscienza accettare (Applausi). Sì, o signori, io penso e dico oggi ciò che dissi e pensai in addietro; e quelle pagine che pubblicavo, quelle dottrine che esponevo or sono pochi mesi o molti anni, sarei pronto, occorrendo, a soscriverle e divulgarle novellamente. Non è già che io ignori dovere il savio conformare molti giudizi pratici alle circostanze e mutarli col variare di queste; purché salvi siano i principii e le considerazioni che si attengono al vero e al giusto, all'onorevole e all'onesto, onde il fine rimanga immutabile e il cambiamento solo riguardi l'eletta dei mezzi legittimi per conseguirlo. E quando un uomo aggiunge all'osservanza di questa regola un assegnato procedere e pacatezza di consiglio, egli è sicuro di non doversi pentire un giorno di ciò che prima sentenziava o scriveva; può sostenere con volto tranquillo ed intrepido le imputazioni dei malevoli, e affidarsi che la sua costanza sia per vincere la pertinacia medesima degli oppositori. Ma se io mi rallegro dell'onor che ricevo, e ve ne rendo quello grazie che per me si possono maggiori, non crediate però, o signori, che il faccia solo pel fregio insigne che me ne torna o per conto di me medesimo. Da più alta e nobile cagione procede la mia esultanza; chè io veggo nel favore fattomi un pegno e un augurio di salute lietissimo per la patria nostra. E in vero avreste voi voluto onorare coi vostri suffragi la mia vita politica, se stimaste falsi o nocivi i pensieri che l'informano e le massime che l'indirizzano? Dunque il vostro concorso nell'innalzarmi a questa sedia fa segno che le mie opinioni sulle cose che più importano sono altresì le vostre; e che questa augusta adunanza è animata da un solo spirito da un solo cuore. Ora la concordia, se è buona e fruttevole in ogni tempo, è oggi più che mai necessaria; e sola essa può dare al Parlamento Subalpino l'energia richiesta per salvare le cose nostre a dispetto della fortuna. Questa beata concordia, o signori, parve interrotta per un istante, mentre correva il primo giro delle nostre tornate parlamentari; e ciò che a prima fronte può sembrare strano e quasi incredibile, il dissenso nacque appunto da quell'unione, che più d'ogni altro tema dovrebbe rimuoverlo. Come mai le liti e le discrepanze possono nascere dal loro contrario? Come la fratellanza dei popoli può partorire la disunione dei deputati? Ma la meraviglia essa, se si osserva che il disparere cadeva soltanto sul modo e sulle circostanze della cosa, non sulla cosa medesima. Intorno a questa tutti si accordavano; ministri del principe e delegati della nazione, tutti volevano quel magnanimo e fratellevole connubio di popoli, onde il regno dell'Alta Italia era l'effetto. E infatti chi sentisse altrimenti, potrebbe credersi o chiamarsi italiano? E poiché ho nominati i ministri, mi si conceda di fare un cenno di quelli che precorsero ai presenti, parendomi accomodato a rifermare la mia sentenza. Uno di questi parca ieri imputare al consiglio Casati di aver lasciata la carica per sottrarsi ai pericoli e alla malagevolezza dei tempi infortunati che allora correvano. No, o signori, pensiero si vile, e di bassa considerazione non entrò mai nel petto nostro; e io posso attestarvelo avendo fatto parte della passata amministrazione. Il che è tanto vero che alcuno di noi avendo già chiesto commiato o essendo in procinto di chiederlo, consentì di restare quando vide che i casi della guerra al peggio precipitavano. Varie a tutte onorevoli furono le ragioni che poco appresso c'indussero a ritirarci; e una delle più efficaci fu appunto lo zelo di quell'unione, di cui vi parlava. Imperocché per sostenerla vacillante, per rimetterla distrutta, era d'uopo l'aiuto della Francia, e questa si era impegnata generosamente a concederlo. Ma quando la mediazione fu sostituita, senza saputa e contro il parere dei ministri, al sussidio francese, questi si ritirarono, non per voggire le difficoltà ed i rischi, ma perché riuscivo per allora impossibile il sortire l'intento supremo dei loro affetti e dei loro pensieri. L'unione fu dunque lo scopo dei precedenti amministratori che volsero a fondarla per quanto stava in loro e a mantenerla con tutte le loro cure; l'unione fu l'anima dell'assemblea che la sanciva; l'unione deve essere il fine vostro, poiché in voi risiede il Parlamento medesimo che le dava principio. Eccovi, o signori, il perno della nostra concordia, l'idea sublime e feconda intorno a cui ci dobbiamo stringere, l'insegna salvatrice che dobbiamo abbracciare, postergando per amore di essa ogni altra considerazione. E qual idea più bella e nobile si può immaginare di questa? Qual interesse più vivo e rilevante? Qual diritto più sacro? Qual fatto più autorevole e solenne, come quello che nacque dal concorso dei Popoli e del Parlamento? Sono diciotto secoli che la patria nostra non fu spettatrice di un evento così illustre, come l'instituzione di quel Regno che sarà il presidio più fermo della nostra autonomia nazionale. Perciò la gloria che vi procacciaste, o signori, nel rogare il patto fraterno, è al tutto unica e assegna al Parlamento Piemontese un seggio privilegiato nei fasti della nazione. Oh! perché io era assente e non mi fu dato di parteciparne. Ma se la fortuna mi tolse l'onore di unirmi a voi per creare il Regno dell'Alta Italia, posso almeno offrirvi la mia debolissima, ma sincera cooperazione, per ristorarlo. Sia questo, o signori, il primo dei nostri assunti; giuriamo di ristabilire quel Regno a a niuno deve più premere che a voi medesimi, essendo opera vostra. Ricordiamoci che le imprese grandi non si forniscono colla volgar prudenza, ma con magnanime risoluzioni. Le quali a voi non possono mancare purché siate unanimi; e non lasciate penetrare in questo nobile consesso le arti nefande di coloro che contrastando al Regno dell'Alta Italia mirano ancora più lungi che non dicono; cioè a disonorare la Monarchia, il Parlamento e il Popolo piemontese al cospetto d'Italia e di tutta Europa (applausi prolungati).