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Portale storico della Camera dei deputati

Presidenti

Giovanni Lanza

VII Legislatura del Regno di Sardegna

Tornata del 12 aprile 1860

Presidente. Onorevoli colleghi, L'alto seggio a cui voleste elevarmi è il più insigne onore che un libero cittadino possa conseguire. Conscio della mia pochezza, abbagliato dallo splendore di tanti nomi illustri e benemeriti che adornano questa Assemblea nazionale, io non saprei trovar ragione alla preferenza di cui mi faceste segno. Eppure troppo importante è l'atto che avete compito, e di troppo significato la nomina del vostro presidente per non credere che un'alta ragione politica non vi abbia guidato nella scelta. Dopo matura riflessione io non potrei scorgerla se non nel fatto di essere io stato parte di quel Ministero la cui politica seppe sottrarre il Piemonte dall'isolamento pericoloso in cui languiva, collegandosi colla Francia e coll'Inghilterra nella guerra di Crimea, e dopo questo segnalato servigio reso all'Europa civile, preparare nel Congresso di Parigi la terza riscossa coll'aiuto delle armi francesi, la quale doveva poi rendere gran parte d'Italia signora de'suoi destini, costituire nella penisola un grande regno indipendente e forte sì, che valga a respingere le aggressioni straniere, a compiere l'opera del nostro riscatto, a fare d'Italia una nazione libera e degna di riprendere il seggio che le appartiene fra le grandi potenze d'Europa. (Segni d'approvazione) Benché lieve sia stato il mio concorso alla riuscita di questo grandioso disegno, che devesi alla specchiata lealtà e all'eroico valore del nostro Re, secondato dalla rara sagacia dell'illustre uomo di Stato che tuttora presiede il Gabinetto, e dal valente generale che, dopo avere riordinato l'esercito, guidollo alla vittoria sui campi della Crimea e l'apprestò alla terza guerra italiana, voi tuttavia avete pur voluto spiegare il vostro concetto politico eleggendo a presiedervi il solo membro di quel Ministero che ora segga in questa Camera semplice deputato. Io vi ringrazio, o signori, con tutta l'effusione di un animo riconoscente di questo insigne onore, e, penetrato dell'arduo ufficio che mi affidaste, tutto farò per corrispondere il meglio che mi sia possibile alla vostra aspettazione. Noi tutti siamo qui sotto il fascino di una maestosa e patriottica commozione. Contemplando in questa Assemblea i rappresentanti della Lombardia, dell'Emilia e della Toscana frammisti a quelli dell'antico Stato sardo, ci ricorrono alla mente maravigliata i portentosi eventi che con tanto felice successo si compierono in pochi mesi. Non è ancora trascorso un anno intiero che i popoli di quelle nobili provincie gemevano oppressi sotto il giogo straniero, confortati solo da remota speranza di essere un giorno felicemente riuniti al forte regno di Vittorio Emanuele. Ora quella speranza è una realtà. Undici milioni d'Italiani compongono un solo stato libero e indipendente, soggetto allo stesso regime costituzionale, sotto lo stesso principe e lo stesso vessillo tricolore, intorno a cui stanno schierati 200 mila soldati italiani a difesa dei riconquistati diritti e a conforto delle sorti future. Mentre di sì meravigliosi e fortunati avvenimenti noi dobbiamo anzitutto rendere grazie alla divina Provvidenza che volle porre un termine a lunghe sofferenze sopportate con eroica costanza, ci corre pur l'obbligo di proclamare altamente la nostra profonda riconoscenza al magnanimo nostro alleato che con un poderoso ed invitto esercito scese dalle Alpi a combattere a fianco degli Italiani per il trionfo di una nobile e giusta causa. Perseverando egli a farsi campione degli oppressi e dei diritti imprescrittibili delle nazionalità, il suo augusto nome, associato a quello del leale e valoroso nostro Re, sarà tramandato ai più remoti posteri, e scolpito sopra un monumento più prezioso e durevole del marmo e del bronzo, dall'amore e dalla gratitudine nel gran cuore dei popoli. Tanta generosità di principi trova già un nobile compenso negli applausi di tutta Europa, e nel mirabile contegno dei popoli da essi redenti. Le provincie italiane, di cui voi siete qui i degni rappresentanti, diedero all'Europa attonita sì splendide prove di fortezza d'animo e di longanimità nella sventura; di moderazione e calma nel successo; di perseveranza e di senno politico nel proseguire il legittimo scopo de' loro voti, che giammai nessun popolo offrì spettacolo più sublime. Io ammiro quant'altri mai la generosa audacia e l'accorgimento politico con cui i sommi reggitori dell'Emilia e della Toscana seppero timoneggiare in mezzo a tanti scogli per condurre a salvamento i popoli che loro affidarono le proprie sorti in momenti supremi. I loro nomi brilleranno di bella e pura luce nei gloriosi fasti della nostra storia. Ma per essere egualmente giusti verso questi stessi popoli, noi dobbiamo riconoscere che la loro saviezza rese men difficile il compito dei propri reggitori, e che il grande fatto di undici milioni d'Italiani raccolti ora sotto la stessa bandiera tricolore è il frutto delle loro civili virtù. Essi seppero mostrarsi unanimi e compatti a volere una cosa sola, l'unione, postergando ogni lusinghiero sentimento di municipalismo e di autonomia parziale da tanti secoli profondamente radicato in Italia. Fu tutto un popolo, dall'artigiano allo statista, dal popolano al patrizio, penetrato di questo vero: che solo dalla unione di tutti in una sola famiglia può scaturire la forza e la potenza nostra; essere assicurata la indipendenza e la libertà; redente dalla oppressione quelle provincie consorelle che ancora vi gemono; fondata sopra base incrollabile la nazionalità della patria italiana. Quest'atto solenne di sapienza pari al coraggio civile è consumato; tocca ora a noi di consolidarlo e renderlo fecondo. Molto oprarono i popoli per giungervi, molto ora attendono dai loro rappresentanti per conservarlo e trarne tutti quei vantaggi che hanno diritto di aspettarsi. Questo Parlamento ha quindi l'ardua missione di costituire legislativamente il nuovo regno italico. Grandi elementi di ricchezza e di forza possiede questo Stato, a niuno secondo per densità di popolazione, per feracità e varietà di prodotti, per il genio e la robustezza de' suoi abitanti. Spetta ora all'azione reciproca e concorde del Parlamento e del Governo del Re il dotare questo bel paese di savie leggi comuni a tutte le provincie aggregate, che assodino e rendano indissolubile sì nella prospera che nell'avversa fortuna la loro unione, rimettano in fiore la finanza pubblica, agguerriscano la nazione. Unione, danaro ed armi, questi sono i bisogni più stringenti della patria nostra, gli alleati più sicuri sopra cui si possa fare a fidanza: non per provocare, ma per difenderci; non per correre imprese arrischiate, ma per trovarci pronti ai futuri eventi. L'era delle nazionalità è cominciata; nessuna forza umana potrà arrestarne il corso, perché il loro essere è nelle leggi della natura, nei decreti della Provvidenza; perché i popoli compresero il loro diritto divino, quello di essere liberi ed indipendenti entro quei confini che il dito di Dio ha loro segnato. Noi eletti di un generoso popolo che, devoto a questi principii, tanto oprò per gettare la gran base del nuovo regno, ci accingeremo per certo con alacre ed indefessa cura a compiere l'edifizio nazionale. Penetrati della difficilissima situazione in cui trovasi la patria, voi attenderete con sollecitudine ai suoi più urgenti bisogni, preoccupati nelle vostre discussioni della necessità di pronti provvedimenti; memori che se il tempo per gl'individui è moneta, per le nazioni che si costituiscono è l'esistenza stessa. Nel dirigere i vostri lavori io mi atterrò pertanto con fermezza alle norme prescritte dal regolamento, e confido che voi vorrete tollerare che io mi mostri alquanto geloso nel curarne l'osservanza. Possano le vostre nobili fatiche essere coronate da felice successo e conseguire il premio più caro al nostro cuore, quello di vedere compiuto il riscatto della cara nostra patria, e l'Italia unita e felice gareggiare colle nazioni più colte nella via dell'incivilimento e dell'umano progresso. Mentre sono lieto di farmi interprete fedele delle vostre intenzioni, porgendo a vostro nome i più sentiti ringraziamenti all'esimio presidente anziano ed a tutto l'ufficio provvisorio per il modo pienamente soddisfacente e lodevolissimo con cui seppe dirigere i nostri lavori preparatorii, la mente ricorre rattristata al funesto caso che colpì sopra questo stesso seggio il venerato nostro collega il generale Quaglia. La dolorosa commozione che ha già manifestato quest'Assemblea attesta in modo solenne la stima e l'affetto che noi tutti sentiamo per quell'egregio cittadino. Le rare qualità di mente e di cuore dell'estinto, i suoi servigi resi alla patria nella carriera militare, civile e politica, l'ardente sua fede nel trionfo della libertà e dell'indipendenza italiana, renderanno benedetta e cara a tutti la sua memoria. Una vita però tanto operosa e benemerita della patria non poteva avere un fine più onorevole. Spirò presidente di quella Camera, a' cui lavori egli aveva per tanti anni giovato co' suoi studi e coi consigli di una lunga esperienza.