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Portale storico della Camera dei deputati

Presidenti

Giuseppe Zanardelli

XX Legislatura del Regno d'Italia

Tornata del 7 aprile 1897

Presidente. (stando in piedi). (Segni d'attenzione). Onorevoli colleghi! Chiamato dal Vostro suffragio a questo altissimo Ufficio, io, nella commozione in me destata da così solenne dimostrazione di benevolenza e di fiducia, sento innanzi tutto il bisogno di porgervi l'omaggio sincero del mio più fervido ringraziamento, assicurandovi essere la gratitudine il sentimento che vibra più gagliardo nell'animo mio.
Se volessi pensare alle difficoltà dell'Ufficio medesimo, il quale esige le doti più diverse e che quasi si escludono fra loro; se dovessi, perciò, consultare soltanto le povere mie forze, dovrei pregarvi di volermi dispensare da un onere sì grave. Ma, d'altra parte, sarebbe sconoscenza il venir meno al vostro appello indulgente e generoso; ed io, ammaestrato dall'esempio dei miei insigni predecessori che mi studierò di imitare, obbedisco ai voleri della Camera, accettando l'arduo incarico di dirigere le sue deliberazioni. Io conosco l'estensione de' miei doveri, e porrò tutti i miei sforzi ad adempierli. Primissimo fra essi reputo quello della più assoluta imparzialità.
Ebbi altra volta l'onore di questo seggio, ed ho sicura coscienza che l'imparzialità, la neutralità fra i partiti non ho dimenticato giammai. Mi considerai e mi considero Presidente non della maggioranza ma della Camera, (Bene! Bravo!) custode inflessibile del suo regolamento a favore di tutti e contro tutti, in ciò che mira a mantenere l'ordine e la calma delle discussioni, come in ciò che mira a proteggerne la libertà. (Bene!) Di questa libertà della tribuna io sento in cuore tutto il rispetto, (Benissimo!) sento l'imperiosa necessità; ché le istituzioni libere vivono di luce, di pubblicità, di discussione, di contraddizione. Io con tutte le mie forze invoco che la nostra tribuna sia alta, libera, non infrenata che dal rispetto ch'essa deve a sé stessa, dal disdoro che è serbato a chi ne abusa, dall'autorità morale di chi presiede all'Assemblea. (Applausi).
Affinché adunque mi sia reso meno difficile il mandato conferitomi, io ho bisogno di tutta la vostra cooperazione. Nulla mi gioverebbero la vostra benevolenza, la vostra amicizia di cui sono felice e orgoglioso; nulla il voto lusinghiero con cui mi avete qui chiamato, se non avessi l'aiuto vostro costante, quotidiano, efficace: nulla io potrei colle meschine mie forze senza una continua vostra adesione la quale sorregga, avvalori il potere di cui la Camera volle affidarmi l'esercizio.
Ed ora dedichiamoci ai lavori parlamentari con quella operosità cui, inaugurando la ventesima Legislatura, ha fatto appello l'amatissimo Re, di cui la prima parola ieri rivoltaci fu parola di affetto per le libere istituzioni: magnanimo affetto mercè cui la Monarchia nazionale, rivendicatrice dell'indipendenza e presidio dell'unità della patria, può a buon diritto gloriarsi che le gioie della Reggia siano le gioie della Nazione. (Vivissimi, prolungati applausi).
In pari tempo il discorso inaugurale, accennando ai disegni di legge a favore delle classi lavoratrici, ha richiamato il vostro pensiero verso l'opera di riparazione attesa dai miseri, la quale deve compiere nella Legislazione un grande dovere di giustizia e di solidarietà. (Bene! Bravo!) L'equità nell'ordine sociale, la libertà nell'ordine politico; in altri termini, una società giusta, ed un Governo libero, ecco una degna mèta segnata dalla parola reale alle Vostre deliberazioni.
Questo Governo libero mediante gli atti Vostri soltanto può dare benefici frutti; ché negli ordini costituzionali non havvi vita che dove il Parlamento la porta; e questa vita di continua discussione e sindacato, come rialza e fortifica lo spirito pubblico, così nelle sue forme tutelari è suprema guarentigia di provvide e mature risoluzioni.
Con simili guarentigie si riesce a creare quello spirito di legalità il quale è del pari necessario nei privati cittadini e nei pubblici poteri; mentre il rigido rispetto, la religiosa osservanza della legge deve tutto dominare presso un popolo geloso de' suoi diritti e della sua dignità.
I destini della patria, carissimi colleghi, sono affidati ai vostri onori ed ai vostri intelletti. Non havvi nazione che non abbia provato crudeli sventure; non havvi nazione la cui grandezza non abbia immensamente costato di pianto, di sangue, di rude lavoro, e non abbia avuto mestieri del corso di secoli per trionfare. E tale trionfo dev'essere pure serbato all'Italia: dove il popolo è invidiato modello di temperanza e di abnegazione: e dove è modello di valore quell'esercito che anche nelle condizioni più infelici scrisse recenti pagine d'eroismo di cui potrebbe aver vanto la storia militare di qualsiasi popolo guerriero. (Bene! Bravo!) Ora se noi, attinta l'ispirazione ai solenni verdetti de' comizi elettorali; se noi in questo recinto, a nessun'altra gara intenti che a quella della devozione al pubblico bene, coll'unione delle forze, coll'armonia dei poteri costituzionali, faremo opera di saggezza, di patriottico ardore, di disinteresse o sacrificio individuale, daremo a noi stessi il prezioso sentimento di un alto dovere nobilmente adempiuto, e alla patria dilettissima la promessa di universale onoranza e rispetto, di liete e splendide fortune. (Vivi e prolungati applausi).
Invito gli onorevoli segretari e questori ad occupare i loro posti al banco della Presidenza.
(I segretari ed i questori occupano i loro seggi).