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Portale storico della Camera dei deputati

Presidenti

Giovanni Leone

II Legislatura della Repubblica italiana

Seduta del 10 maggio 1955

Presidente. (stando in piedi pronunzia il seguente discorso): Onorevoli colleghi, la mia trepidazione è pari al mio orgoglio nell'assumere l'altissimo ufficio cui mi chiama la benevolenza di molti di voi, che si traduce per me nell'impegno di assolvere al mio compito con decisa volontà e ferma fede.
Educato ad una scuola di alta comprensione del dovere e portato per mio stesso temperamento ad una visione serena e distaccata da contingenze particolari degli avvenimenti politici, non obbedirò che alla mia coscienza e non avrò altra direttiva che l'osservanza fedele e rigorosa del regolamento.
Quando parlo d'osservanza rigorosa, intendo riferirmi più al rigore che imporrò a me stesso che a quello che sarò costretto ad imporre ai colleghi, ai quali tuttavia chiedo di considerare serenamente come il limite posto nelle norme giuridiche - se anche nel momento in cui viene subito può apparire duro e talora intollerabile - sia in definitiva preordinato alla pacifica e civile convivenza di uomini diversi, per temperamento e indirizzo spirituale, e provenienti da distinte, talora opposte, formazioni politiche.
È per questo che solo nell'armonico temperamento tra diritti e doveri e nella ricerca del giusto limite noi potremo ritrovare la sicura piattaforma del comune lavoro.
In un momento nel quale l'urgente spinta di esigenze sociali, la ricerca di nuovi metodi ed orientamenti, lo sviluppo di notevoli situazioni internazionali sulle quali è sospesa l'aspettativa di tutto il mondo richiamano sul Parlamento una particolare attenzione - che va dalla fiduciosa attesa di molti alla perplessità di pochi - noi abbiamo il dovere di collaborare, tutti, al consolidamento del prestigio dell'istituto; perché la storia del nostro e di altri popoli - storia intessuta anche di immense tragedie nazionali - insegna che, quando il Parlamento declina o muore, la democrazia fallisce, la libertà è condannata a languire.
Ma il prestigio di un istituto non si impone, si conquista. E per conquistarlo occorre: affinare gli strumenti del nostro lavoro - già, per altro, dalla Costituzione e dalle modifiche apportate al nostro regolamento notevolmente a tale scopo adeguati - per renderli sempre più idonei alla sollecitudine che i vari problemi, nel ritmo accelerato della vita attuale, reclamano; apprestare mezzi adatti a rendere l'attività legislativa sempre più sensibile al rigore tecnico, senza soffocarne l'ispirazione sociale; aumentare la nostra operosità, già notevole e non priva di sacrificio, e, purtroppo, non sufficientemente conosciuta ed apprezzata; dimostrare la nostra dedizione agli interessi del paese, non solo nella sostanza del nostro lavoro, ma anche nella spontanea accettazione di un costume di reciproca tolleranza.
Ciò detto, non ho programmi da esporre o metodi da indicare. Il mio programma, se è breve ad enunciare, è di alto impegno nella attuazione; perché è il programma di continuare, con più modeste forze ma con uguale devozione al Parlamento, l'opera di Giovanni Gronchi, al quale va il mio devoto saluto di antico collaboratore. (Vivissimi, generali applausi).
Nell'adempimento del mio dovere, avrò bisogno della vostra collaborazione, che mi sforzerò di meritare come in passato, obbedendo alle supreme regole della obiettività e della imparzialità.
Sono inoltre sicuro della collaborazione dei colleghi dell'Ufficio di presidenza, ai quali mi lega una lunga consuetudine di lavoro e di amicizia; del corpo dei funzionari, che, dal Segretario generale al più modesto e giovane di essi, conosco ed apprezzo; e dei nostri subalterni, che compiono il loro dovere talora fino al sacrificio.
Vada il mio pensiero al popolo italiano, della cui ansia di progresso e di pace siamo gli interpreti; al popolo italiano, che ogni giorno giudica i nostri lavori ed i nostri propositi.
Vada il mio saluto alla stampa con l'augurio, che è certezza, che - distinguendo gli aspetti particolari da quelli sostanziali del nostro lavoro, collaborando nella più ampia libertà di critica ma anche nella più spiccata consapevolezza della propria alta responsabilità - saprà sempre più realizzare quella funzione di mediazione tra l'attività parlamentare e l'opinione pubblica senza la quale l'istituto minaccia di rimanere avulso dalla vita, dalle ansie, dalle aspettative del paese.
La mia assunzione all'altissimo ufficio coincide con un avvenimento di eccezionale importanza per la vita nazionale: il passaggio della più alta magistratura dello Stato da Luigi Einaudi a Giovanni Gronchi.
Il biennio presidenziale di Enrico De Nicola - che coincise con la vita dell'Assemblea Costituente - dimostrò come potessero l'alto prestigio, il riconosciuto equilibrio, la rara imparzialità e l'altissimo senso giuridico dell'uomo costituire il solido ponte sul quale pacificamente passò la trasformazione istituzionale; e come la disinteressata opera di una personalità su cui convergeva l'universale simpatia del paese valesse a colmare il vuoto costituzionale, che inevitabilmente si era delineato. (L'Assemblea sorge in piedi - Vivissimi generali applausi).
Il settennato di Luigi Einaudi va contrassegnato come il periodo in cui l'Italia, definiti i pilastri costituzionali del nuovo Stato, ha compiuto l'insperato miracolo di una totale ricostruzione, di cui forse non avvertiamo tutta l'imponenza per esserne stati i protagonisti; sicché già da anni, lasciato indietro solo nel ricordo il periodo di un terribile dopoguerra, noi siamo protesi verso nuove mete.
Luigi Einaudi può essere orgoglioso di aver messo al servizio del paese la sua profonda cultura, il suo alto intelletto, la sua lunga esperienza, la sua fede nella democrazia e nella libertà.
Gli italiani sapevano che al posto di più alta responsabilità presiedeva un saggio, nella cui personalità si componevano, in felice sintesi, l'amore per gli studi concepiti non come astratta esercitazione ma come linfa di pensiero vivo, concreto ed attuale; il senso del dovere accettato come impegno quasi religioso; l'austerità della vita espressa in una semplicità di vita familiare che richiama ai valori fondamentali della nostra stirpe; la coscienza di continuare, nell'altissima carica, una missione al servizio del suo paese.
Nel silenzio, di cui nobilmente fasciò la sua insonne operosità, nel quotidiano controllo, esercitato ma non fatto avvertire, nella stessa consapevolezza dei limiti del suo potere che è la più alta espressione del senso di responsabilità, nella costante fedeltà alla Costituzione, egli ha realizzato il primo felice esperimento di quella somma magistratura che, se la Carta costituzionale aveva giuridicamente disciplinato, solo una superiore tempra di italiano poteva incarnare.
Sono lieto che questa solennità consenta alla Camera dei deputati, proprio alla scadenza del suo settennato, di esprimere a nome di tutti gli italiani, a Luigi Einaudi, la profonda, duratura riconoscenza della patria (L'Assemblea sorge in piedi - Vivissimi generali applausi), riconoscenza che - al di là di ogni altra manifestazione - si consacra consegnando alla storia il suo nome e la sua opera; e l'augurio devoto di poter dedicare ancora molti anni al servizio del paese.
La fiducia e la devozione del popolo italiano per Giovanni Gronchi furono espresse, con alto significato, nella votazione plebiscitaria del 29 aprile; mentre domani gli sarà tributato l'ossequio del Parlamento in seduta comune.
Ma noi qui desideriamo salutarlo - ci sia consentito - con un certo senso di familiarità, che certamente toccherà il suo cuore.
Egli porterà nella suprema magistratura una esperienza politica lunga, dura e istruttiva; un'intelligenza fervida e vivace, una giovanile capacità di lavoro e di sacrificio; una conoscenza profonda dei nostri problemi politici; un'aperta sensibilità per la questione sociale ed un altissimo senso di responsabilità: che ci danno la certezza di un ulteriore slancio dell'Italia verso nuove mete, nel suo settennato.
Noi desideriamo ricordarlo oggi come il nostro grande Presidente ed io come maestro di equilibrio e d'imparzialità. Noi desideriamo esprimergli la riconoscenza per la dichiarata punta d'amarezza per il distacco da noi ed aggiungere, perciò, all'omaggio ufficiale del Parlamento l'espressione del nostro sentimento di devota amicizia. (L'Assemblea sorge in piedi - Vivissimi, generali applausi).
Da questa singolare coincidenza - che dimostra come la successione degli uomini nei posti di più alta responsabilità riconsacri la perennità degli istituti quando sono radicati nell'anima e nelle aspirazioni del popolo - sia dato di trarre l'auspiscio per il mio lavoro, sul quale, in umiltà di spirito, invoco la benedizione di Dio onnipotente. (Vivissimi, generali, prolungati applausi, cui si associano i giornalisti della tribuna stampa).
Presidente. (stando in piedi pronunzia il seguente discorso): Onorevoli colleghi, la mia trepidazione è pari al mio orgoglio nell'assumere l'altissimo ufficio cui mi chiama la benevolenza di molti di voi, che si traduce per me nell'impegno di assolvere al mio compito con decisa volontà e ferma fede. Educato ad una scuola di alta comprensione del dovere e portato per mio stesso temperamento ad una visione serena e distaccata da contingenze particolari degli avvenimenti politici, non obbedirò che alla mia coscienza e non avrò altra direttiva che l'osservanza fedele e rigorosa del regolamento. Quando parlo d'osservanza rigorosa, intendo riferirmi più al rigore che imporrò a me stesso che a quello che sarò costretto ad imporre ai colleghi, ai quali tuttavia chiedo di considerare serenamente come il limite posto nelle norme giuridiche – se anche nel momento in cui viene subito può apparire duro e talora intollerabile – sia in definitiva preordinato alla pacifica e civile convivenza di uomini diversi, per temperamento e indirizzo spirituale, e provenienti da distinte, talora opposte, formazioni politiche.