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Documenti ed Atti

XIV Legislatura della repubblica italiana

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/04664 presentata da TAORMINA CARLO (FORZA ITALIA) in data 28/11/2002

Interrogazione a risposta scritta Atto Camera Interrogazione a risposta scritta 4-04664 presentata da CARLO TAORMINA giovedì 28 novembre 2002 nella seduta n. 231 TAORMINA, ORSINI, CARLUCCI, GARAGNANI, SANTULLI e LECCISI. - Al Ministro della giustizia . - Per sapere - premesso che: l'articolo 14 del decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 382 dispone che il consiglio nazionale di ogni categoria professionale, sovranamente, quanto inammissibilmente, con potestà hegeliana «determina annualmente il contributo dovuto dagli iscritti nell'albo»; peraltro l'articolo 23 della Costituzione riserva alla legge l'imponibilità di prestazioni patrimoniali, ma - come è pacifico in dottrina e come ha ribadito la giurisprudenza (tra le altre: Corte costituzionale sentenza n. 88 del 1986) - affinché la riserva di legge sia pienamente efficace, è necessario (come già sommariamente accennato) che la legge contenga tutti gli elementi necessari all'individuazione e all'applicazione del tributo o contributo: in particolare la legge deve indicare - tra l'altro - gli importi esigibili o, almeno, gli importi massimi pretendibili o - quantomeno - i princìpi per la determinazione oggettiva delle aliquote da applicarsi, oppure l'aliquota massima consentita; in pratica la legge deve individuare tutti gli elementi essenziali, affinché non vi sia la possibilità di arbitrii da parte dell'ente impositore; in mancanza di una predeterminazione legale, oggettiva dell'importo, occorrerebbe almeno una determinazione negoziale, assembleare di approvazione preventiva da parte degli onerandi, come nell'assemblea annuale di ogni ordine territoriale, dei costi e della diversa contribuzione eventualmente, tra diverse categorie di contribuenti, come nel caso della pretesa del consiglio nazionale forense (C.N.F.) a carico sia degli iscritti nell'albo tenuto da tale ente, sia - in misura diversa - degli avvocati non iscritti in tale albo; il detto consiglio nazionale forense (C.N.F.), senza rendere noto preventivamente ai propri contribuenti il proprio bilancio sul quale basare la previsione e poi il consuntivo delle spese necessarie al proprio funzionamento e così senza che i contribuenti cassazionisti, approvino un tale bilancio, pretende potestativamente, sovranamente (e così incostituzionalmente) il contributo annuo di 51,6 euro da esso stesso Consiglio nazionale forense unilateralmente determinato a carico di circa 30.000 avvocati iscritti nel predetto albo dei cassazionisti tenuto dallo stesso C.N.F.; la pretesa di pagamento è stata così finora basata su una disposizione superata dall'entrata in vigore della Costituzione, appunto nel menzionato articolo 14, secondo comma del detto decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 382, mentre la Costituzione impone il principio della riserva di legalità nell'imposizione di tributi o contributi, con indispensabile predeterminazione di importi o aliquote massime, elementi che la detta disposizione non prevede. Il Consiglio nazionale forense, per di più pretende anche un contributo annuale di 25,83 euro (anche esso da sé, solitariamente, potestativamente determinato) dai circa 110.000 iscritti negli albi degli avvocati formati e custoditi dai Consigli degli ordini (territoriali) degli avvocati, non anche iscritti nell'albo dei cassazionisti da esso Consiglio nazionale tenuto; lo stesso Consiglio nazionale forense, pur pretendendo i contributi annuali a carico degli avvocati cassazionisti e perfino dei non cassazionisti, si è sempre ben guardato dal perseguire con riscossione coattiva i tanti avvocati - cassazionisti e non - di fori cronicamente «morosi» (come quello di Velletri ed altri anche di maggiori dimensioni) sull'ingiusta gabella, limitandosi - dove ha potuto - ad accettare dai Consigli dei relativi ordini importi protestativamente assai ridotti a saldo e stralcio (Napoli, Locri, ed altri), evidentemente non osando affrontare il problema dell'incostituzionalità della pretesa, ma così ingiustamente favorendo gli appartenenti a tali ultimi ordini, e - ancor più - ironicamente morosi, a tutto danno degli iscritti negli albi tenuti da consigli degli ordini non consapevoli del problema, i quali hanno così per anni ripianato le carenze contributive altrui; preso infine atto di tale situazione il Consiglio dell'ordine degli avvocati di Roma (che è il più importante in Europa) che finora acriticamente aveva provveduto (pur senza alcun obbligo legale) a raccogliere tra i propri iscritti il contributo preteso dal Consiglio nazionale forense, ha deciso di non farsi grazioso strumento della illegittima e comunque incostituzionale (ed antistorica pretesa del Consiglio nazionale forense), ripugnando una esazione del contributo ingiusto, a carico degli avvocati romani sotto gravissima minaccia della sospensione dall'esercizio professionale per morosità, rinunciando a raccogliere il contributo per il C.N.F. dagli avvocati romani non cassazionisti, non iscritti nell'albo tenuto dal detto Consiglio nazionale; dopo eloquentemente lunga inerzia (certamente dovuta alla insicurezza per la insostenibilità giuridica della pretesa) nel mese di agosto 2002 l'allora presidente del C.N.F. ha scritto individualmente agli avvocati non cassazionisti romani, invitandoli al pagamento di 25,83 euro tentando ingiustamente così di debellare la più autorevole (e unica apertamente e motivatamente dichiarata) sentenza di un Consiglio a raccogliere il contributo ridetto, onde tentare esso C.N.F. di evitare la diffusione della argomentata consapevolezza della non debenza, ponendo vessatoriamente ciascun avvocato romano non cassazionista nella penosa condizione di dover pagare i 25,83 euro, per non affrontare l'alternativa di un più costoso giudizio per contestare l'ingiusta pretesa -: quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare con la massima urgenza per finanziare il Consiglio nazionale forense con soluzioni e metodi costituzionalmente legittimi, affinché si ponga fine alla persecuzione iniziata nei confronti dei circa 12.000 avvocati non cassazionisti. (4-04664)

Risposta scritta Atto Camera Risposta scritta pubblicata lunedì 16 giugno 2003 nell'allegato B della seduta n. 323 all'Interrogazione 4-04664 presentata da TAORMINA Risposta. - La titolarità della potestà impositiva in capo ai consigli nazionali di imporre un contributo annuale a carico degli iscritti all'albo è attribuita specificatamente dall'articolo 14 decreto legislativo 23 novembre 1944 n. 382, il cui secondo comma dispone che «i Consigli Nazionali determinano la misura del contributo da corrispondersi annualmente dagli iscritti nell'albo per le spese del proprio funzionamento». È dunque realizzato il principio costituzionale (articolo 23 Cost.) per cui ogni imposizione deve essere prevista dalla legge. In relazione alla riserva di legge prevista dall'articolo 23 della Costituzione, si osserva inoltre che l'articolo 14 del decreto legislativo 382 del 1944 reca in riferimento ad un certo criterio generale, di tipo funzionale, per la fissazione del contributo: il contributo e infatti determinato «per le spese del proprio funzionamento». La legge cioè, indica nelle spese da sostenersi per l'esercizio delle funzioni il criterio di riferimento generale che permette di ritenere soddisfatta anche la riserva di legge di cui all'articolo 23 Cost., unanimemente considerata come riserva di legge relativa (e cioè la legge fissa i principi entro i quali altre fonti subordinate possono intervenire normativamente). È vero che si tratta di norme promulgate prima della entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, ma non v'è dubbio che il riferimento alla contribuzione a carico degli iscritti, anche là dove è usato il termine «tassa» (articolo 7), risulta conforme al dettato costituzionale, in quanto espressione del principio generale di solidarietà che informa la struttura degli enti rappresentativi di professionisti. Analoghe disposizioni vigono, infatti, per gli altri ordini professionali. In senso contrario non sembrano invocabili i principi sopranazionali dettati in ambito europeo, in quanto il mantenimento degli ordini professionali esistenti, necessariamente implica la possibilità che detti enti esercitino le proprie prerogative, e realizzino - attraverso quelle - le funzioni ad essi attribuite dalla legge, dalle quali sono evidentemente espunte quelle contrastanti con il principio di libera circolazione dei servizi. In merito poi all'affermazione che in mancanza di una predeterminazione legale, oggettiva dell'importo, occorrerebbe almeno una determinazione negoziale di approvazione preventiva da parte degli onerandi, si evidenzia che tale prospettazione applica a determinazioni di tipo pubblicistico criteri e istituti propri degli enti di diritto privato (associazioni e/o società commerciali); viene inoltre fatto cenno ad una «assemblea annuale di ogni ordine territoriale» con compiti di approvazione preventiva da parte degli onerandi che non è dato di rintracciare nella legislazione vigente in materia. Si noti che l'articolo 14 del decreto legislativo n. 382/1944 dispone per tutti i Consigli nazionali di tutte le professioni (e per gli avvocati tale articolo è richiamato espressamente dal successivo articolo 18). Per quanto sopra, il consiglio nazionale forense ha sempre determinato il contributo dovuto dagli iscritti all'albo degli avvocati e ciò è avvenuto senza contestazioni, sia per quanto riguarda l'imposizione, che per quanto riguarda la misura del contributo (da ultimo, -25,8 per tutti gli avvocati; -51,6 per gli avvocati cosiddetti cassazionisti). I consigli dell'ordine hanno sempre riscosso questi contributi e li hanno poi trasmessi al consiglio nazionale trattenendo una piccola percentuale per le spese (5 per cento). Tanto premesso, senza alcuna preventiva comunicazione, il consiglio dell'ordine degli avvocati di Roma ha dichiarato ai propri iscritti che non avrebbe più raccolto l'importo spettante al consiglio nazionale forense (-25,8) ritenendolo non dovuto: secondo il consiglio dell'ordine di Roma, infatti, l'articolo 4 si dovrebbe interpretare in senso restrittivo, laddove si fa riferimento al contributo a carico degli iscritti «all'albo» (e non agli albi), il che indicherebbe che il legislatore avrebbe inteso contemplare non gli iscritti in tutti gli albi degli avvocati ma solo quelli relativi all'albo tenuto dal consiglio nazionale stesso, e cioè l'albo dei patrocinanti dinanzi alle magistrature superiori. Tale interpretazione non appare condivisile per una serie concorrente di motivi. Anzitutto l'interpretazione corretta della norma non permette distinzioni tra «albi», perché l'articolo 14 riferendosi a tutte le professioni indica sostanzialmente tutti gli iscritti di quella professione. Tale norma riguarda infatti una serie ampia di categorie professionali, elencate nell'articolo 1, e si applica alla professione di avvocato in virtù del richiamo operato dall'articolo 18. La normativa in questione, dunque, riguarda tutte le categorie professionali organizzate in albi, sia l'albo unico, locale o nazionale. La dicitura utilizzata dall'articolo 14 deve essere pertanto intesa in senso generico, come riferita a tutti gli iscritti (nell'albo, ove questo sia unico, o negli albi, ove questi siano molteplici). L'imposizione prevista dall'articolo 14 non è l'unica perché in favore dei Consigli dell'ordine locali dispone anche l'articolo 7 per cui «nei limiti strettamente necessari» ogni Consiglio può porre una tassa per l'iscrizione; si precisa poi che nessun pagamento oltre quelli previsti nel citato decreto (cioè quelli previsti nell'articolo 4 e nell'articolo 14) può essere posto a carico degli iscritti. Ciò conferma dunque ancora una volta che l'articolo 14 permette ai consigli nazionali di richiedere il contributo a tutti gli iscritti. Vi è ancora un argomento «comparatistico». Non è dato di rilevare alcun caso di ordinamento professionale nel quale gli iscritti negli albi locali non versino contributi al rispettivo consiglio nazionale, o, viceversa, consigli nazionali che non esigano contributi dagli iscritti negli albi locali. Spesso, anzi, gli iscritti negli albi locali sono gli unici che possono contribuire al funzionamento del consiglio nazionale, non esistendo albi specifici presso il consiglio nazionale (come nel caso del Consiglio nazionale forense). Può essere interessante esaminare alcuni ordinamenti professionali anche successivi al decreto legislativo citato fra questi, l'ordinamento della professione di dottore commercialista (decreto del Presidente della Repubblica 27 ottobre 1953, n. 1067) e l'ordinamento della professione di ragioniere (decreto del Presidente della Repubblica 27 ottobre 1953, n. 1068), che dispongono, nella medesima formulazione, che il Consiglio nazionale «determina la misura del contributo da corrispondersi annualmente dagli iscritti negli albi e negli elenchi per le spese del proprio funzionamento». Si osserva poi che il contributo richiesto annualmente dal Consiglio nazionale forense agli avvocati italiani risulta essere di misura assai modesta, di gran lunga inferiore rispetto a quanto altri consigli nazionali sono soliti richiedere agli appartenenti alle rispettive categorie professionali. Oltre ai riferimenti normativi citati, il fondamento del potere impositivo del consiglio nazionale nei confronti degli appartenenti alla categoria degli avvocati può essere validamente ricollegato alle funzioni esercitate nell'interesse della categoria, tra le quali spicca innanzitutto la funzione di rappresentanza istituzionale, alla quale si riconduce la funzione consultiva e di interlocuzione con le istituzioni politiche ed amministrative. Né poi va dimenticata la funzione giurisdizionale (che ovviamente non si esplica soltanto nei confronti dei cassazionisti ma nei confronti di tutti gli avvocati). Lo stesso può dirsi per il ruolo svolto dal consiglio nazionale forense nel procedimento di elaborazione delle tariffe per tutti gli avvocati, per assicurare la formazione iniziale e la formazione permanente e per quant'altro è riferito ai compiti istituzionali del Consiglio. È inoltre significativo ricordare che quando vengono a determinarsi conflitti tra gli iscritti e i consigli dell'ordine territoriali (quando ad esempio gli iscritti non pagano i contributi dovuti ai consigli dell'ordine) interviene in loro difesa lo stesso consiglio nazionale. Si veda, ad esempio, tra le numerosissime, le decisioni del consiglio nazionale forense 24 giugno 1999, n. 81, con le quali il consiglio nazionale ha sanzionato i comportamenti illegittimi degli iscritti che non hanno corrisposto i contributi dovuti ai consigli degli ordini locali, affermando ripetutamente che pone in essere un comportamento disciplinarmente rilevante il professionista che non adempia al versamento del contributi, anche se arretrati, previsti dal decreto-legge n. 382/1944 a favore del C.d.O. locale (nella specie è stata inflitta la sanzione della sospensione a tempo indeterminato sino al pagamento dei contributi dovuti). Pur nella ovvia scarsezza di riferimenti giurisprudenziali (il principio non era mai stato contestato fino ad ora) non è esatto affermare che non esista giurisprudenza sul potere impositivo dei Consigli nazionali. In un caso relativo al mancato pagamento di contributi a favore di un Consiglio locale degli ingegneri, le sezioni unite della Suprema Corte di cassazione hanno avuto modo di argomentare sul potere impositivo degli ordini, e sulla procedibilità disciplinare a carico degli iscritti che non paghino i contributi per gli organi locali ma anche quelli per gli organi nazionali. Con sentenza n. 11622 del 21 novembre 1997 la Suprema Corte ha affermato che «da queste norme si trae che, se l'iscritto non versa nei termini stabiliti i contributi determinati dal Consiglio dell'ordine e dal Collegio nazionale, contributi tra i quali rientra la tassa annuale, in suo confronto può essere adottato un provvedimento di sospensione dall'esercizio professionale a tempo indeterminato, ma debbono essere osservate le forme del procedimento disciplinare». La lettura della sentenza segnala come la Corte, nella sua composizione più adatta alla funzione nomofilattica, abbia interpretato chiaramente le norme in esame nel senso che i contributi dovuti dagli iscritti negli albi sono sia quelli di cui all'articolo 7 decreto legislativo citato, destinati alle istanze locali, sia quelli dovuti ai sensi dell'articolo 14 decreto legislativo citato, e destinati alle istanze nazionali, e che alla violazione di entrambi tali obblighi consegue l'esercizio dell'azione disciplinare. Va inoltre sottolineato che il bilancio del consiglio nazionale forense, redatto secondo le disposizioni vigenti in materia, è comunicato alla Corte dei conti e viene pubblicato per intero, anno per anno, nella rivista «Rassegna forense». Non corrisponde poi al vero che il Consiglio nazionale forense si è sempre ben guardato dal perseguire con riscossione coattiva i tanti avvocati - cassazionisti e non - di fori cronicamente «morosi», limitandosi, dove ha potuto, ad accettare dai Consigli dei relativi ordini importi assai ridotti a saldo e stralcio, evidentemente non osando affrontare il problema della incostituzionalità della pretesa, ma così ingiustamente favorendo gli appartenenti a tali ultimi ordini territoriali, e - ancor peggio - cronicamente morosi, a tutto danno degli iscritti negli albi tenuti da Consigli degli ordini non consapevoli del problema, i quali hanno così per anni ripianato le carenze contributive altrui. Il caso di Roma è assolutamente unico. In passato si sono verificati e ancora si verificano ritardi nei trasferimenti da parte di alcuni Consigli, poi regolarmente saldati, ma non è mai stata messa in dubbio la legittimità dell'imposizione. In conclusione si osserva che la contestata illegittimità dell'articolo 14 citato è contraddetta dalla puntuale applicazione di tale normativa in sede giudiziaria e che l'interpretazione sostenuta dal Consiglio nazionale forense è stata da ultimo confortata dalla pronunzia delle Sezioni unite della Corte di cassazione dianzi citata. Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.



 
Cronologia
giovedì 14 novembre
  • Parlamento e istituzioni
    Il Papa Giovanni Paolo II si reca in visita alla Camera dei deputati. Nel suo discorso davanti ai membri del Parlamento lancia un appello per la pace e formula auspici per la prosperità dell'Italia.

giovedì 5 dicembre
  • Parlamento e istituzioni
    Riccardo Chieppa è eletto Presidente della Corte costituzionale.