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Presidenti

Dino Grandi

Nasce a Mordano (Bologna) il 4 giugno 1895
Deceduto a Bologna il 21 maggio 1988
Conte; Laurea in Giurisprudenza; Diplomatico, Avvocato, Pubblicista / Giornalista

Biografia

Dino Grandi nasce a Mordano, presso Imola, il 4 giugno 1895. Nella casa paterna - dove è spesso in visita Andrea Costa - viene a contatto con le forti passioni politiche cha agitano in quegli anni le campagne della Valle Padana.

Frequenta il liceo classico a Ferrara dove incontra Italo Balbo, fervente repubblicano, e si accosta agli ambienti del sindacalismo rivoluzionario. Nel 1913 si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Bologna, ma la passione per il giornalismo ha il sopravvento: decisivi sono, in questa direzione, gli incontri con Nello Quilici e con Mario Missiroli, allora direttore de Il Resto del Carlino.

Inizia presto a collaborare col quotidiano di Missiroli e in quegli anni matura la convinzione che per risolvere la questione sociale sia necessario un rinnovamento e un potenziamento della funzione dirigente del liberalismo, senza cedimenti alle idee socialiste.

Nel novembre 1914 è inviato dal giornale a seguire l'espulsione di Benito Mussolini, diventato interventista, da parte della direzione socialista. Ne ricava una forte simpatia per Mussolini, al quale manifesta per iscritto la propria ammirazione per la scelta interventista.

Nel maggio 1915, entrata ormai in guerra l'Italia, Grandi tenta invano di partire volontario. Richiamato infine con la sua classe, è sottotenente degli alpini e si guadagna sul campo la promozione a capitano, ma l'esperienza estenuante e dura della guerra di trincea e ancor più quella del dopoguerra lo lasciano piuttosto deluso e desideroso di ritornare alla propria vita privata.

Si laurea in giurisprudenza nel 1920 e collabora assiduamente ad alcune riviste di economia, professandosi liberista e nemico del bolscevismo.

Dopo i fatti di Palazzo d'Accursio (21 novembre 1920) si iscrive al Fascio di combattimento di Bologna, assumendo un ruolo di primo piano sia come direttore dell'organo L'Assalto, sia successivamente come segretario politico regionale dei Fasci emiliano-romagnoli. Nel maggio 1921 è eletto deputato nella lista del Blocco nazionale, ma un anno dopo viene dichiarato decaduto perché non ha ancora compiuto trent'anni.

Durante l'estate del 1921 si oppone al patto di pacificazione voluto da Mussolini, ma al I congresso dei Fasci di combattimento asseconda la linea politico-parlamentare di Mussolini.

Rieletto deputato nel 1924 ricopre la carica di Vicepresidente della Camera. Sostiene fermamente Mussolini durante la crisi seguita al delitto Matteotti e nel mese di luglio è nominato Sottosegretario agli interni, allorché il dicastero è retto da Luigi Federzoni. In questa veste si batte per la "normalizzazione" del Partito nazionale fascista e per la subordinazione di questo allo Stato.

Nel 1925 Grandi è nominato Sottosegretario agli esteri e quattro anni dopo passa alla guida del Ministero al posto di Mussolini. Procede ad una riforma dell'intero ordinamento diplomatico e consolare e sul piano internazionale si accosta progressivamente alla Società delle nazioni, concepita come strumento utile ai fini dell'accrescimento del prestigio internazionale dell'Italia. Diventa quindi ambasciatore a Londra e resta nella capitale britannica sette anni, operando attivamente per migliorare lo stato dei rapporti italo-inglesi.

Nel 1939 Mussolini lo chiama al Ministero di grazia e giustizia. In questa veste Grandi presiede al completamento della riforma dei codici civile, di procedura civile e navale. Fermo sostenitore della continuità dello Stato dal Risorgimento al fascismo, sottolinea con forza la diversa natura del diritto fascista e di quello nazionalsocialista, considerati come espressione di due identità nazionali distanti ed irriducibili l'una all'altra. Alla fine dello stesso anno diventa Presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni in sostituzione di Costanzo Ciano.

Scoppiata la guerra, Grandi, contrario da sempre all'alleanza con la Germania nazista, non nasconde il timore che la sorte dell'Italia sia già segnata. Inviato al fronte, partecipa con altri gerarchi alla campagna di Grecia, il cui esito disastroso lo convince della necessità di stipulare una pace separata per l'Italia. Sollevato dall'incarico ministeriale nell'ambito del rimpasto governativo del febbraio 1943, prova a convincere il Re ad allontanare Mussolini, ma il sovrano si dichiara disponibile ad intervenire solo dopo un voto di sfiducia al duce da parte di un organo costituzionale. La drammatica situazione del Paese all'indomani dello sbarco alleato in Sicilia, induce Grandi a presentare al Gran consiglio del fascismo, convocato per il 24 luglio 1943, un ordine del giorno che restituisce al Re i suoi poteri politici e militari. L'approvazione dell'ordine del giorno nella notte tra il 24 e il 25 luglio provoca la caduta del regime fascista e l'arresto di Benito Mussolini. A settembre del 1943 la decisione del Presidente degli Stati Uniti Roosevelt di porre il veto alla sua candidatura a nuovi incarichi di governo, segna la fine della carriera politica di Dino Grandi, che ripara in Spagna e poi in Portogallo, dove lo raggiunge la notizia della condanna a morte in contumacia comminatagli a Verona dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato della Repubblica sociale italiana.

Alla fine degli anni Cinquanta, dopo una lunga parentesi in Brasile che lo aveva visto protagonista di una brillante carriera in ambito professionale e imprenditoriale, rientra in Italia. Solo negli anni Ottanta saranno pubblicate le sue memorie. Muore a Bologna il 21 maggio 1988.