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Documenti ed Atti

XIV Legislatura della repubblica italiana

INTERPELLANZA 2/01065 presentata da TAORMINA CARLO (FORZA ITALIA) in data 05/02/2004

Interpellanza Atto Camera Interpellanza 2-01065 presentata da CARLO TAORMINA giovedì 5 febbraio 2004 nella seduta n. 419 I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, il Ministro dell'interno, per sapere: gli intendimenti e le scelte del Governo a fronte della pressante esigenza di un concreto rafforzamento delle tutele del sistema democratico, dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura, dei diritti di libertà e delle garanzie del cittadino contro ogni forma di uso politico della giustizia e di abuso delle funzioni giudiziarie con particolare riferimento all'utilizzazione dei collaboratori di giustizia, con conseguenti possibili effetti destabilizzanti per gli assetti politici ed istituzionali, espressi dal consenso popolare; il 30 ottobre 2003, con sentenza emessa dalle SS.UU. della Suprema Corte, si è concluso il processo per l'uccisione del giornalista Mino Pecorelli, avvenuta in Roma 24 anni fa (il 20 marzo 1979), con l'assoluzione divenuta irrevocabile di tutti gli imputati con la più ampia formula liberatoria: non aver commesso il fatto, ai sensi dell'articolo 530 comma 1 del codice di procedura penale; il corretto espletamento del sindacato parlamentare non può più in alcun modo interferire nell'attività riservata alla giurisdizione e, conseguentemente, non si oppone più alcun ostacolo al pieno ed approfondito accertamento dei fatti e delle responsabilità che sono al fondo di quella che, secondo gli interpellanti, è da ritenersi la più grave persecuzione giudiziaria della storia contemporanea; dall'inizio dell'indagine avviata dalla procura di Perugia nel dicembre 1993 sono trascorsi ben 9 anni e dieci mesi, nonostante l'estrema sollecitudine della Corte di Cassazione, che ha esaurito in brevissimo tempo il giudizio di legittimità, mettendo perentoriamente la parola fine «all'aggressione» giudiziaria in danno di Giulio Andreotti, il più insigne statista vivente, e di Claudio Vitalone, alto magistrato in carriera, già senatore della Repubblica, chiamato per la sua integrità morale ed elevata professionalità al ruolo di Ministro durante la presidenza della Repubblica di Oscar Luigi Scalfaro; se risponda al vero che: 1) il processo è stato costruito dai pubblici ministeri sulla base di una tesi accusatoria che i supremi giudici hanno censurato perché «notevolmente complicata e controvertibile», che è stata formulata sulla base di dati letti «nell'ottica dell'astratta postulazione di un possibile interesse o movente di Andreotti all'uccisione del giornalista», dati che però - è ancora la valutazione dei supremi giudici - non avevano «retto all'urto del contraddittorio dibattimentale» e, nondimeno, erano stati riproposti per tre gradi di giudizio; 2) ancor più perentoriamente, la Corte d'assise d'appello ha definito l'accusa formulata dai pubblici ministeri contro gli imputati dei quali ha poi confermato l'assoluzione «un teorema accusatorio destituito di ogni fondamento»; 3) dalla sentenza di primo grado emessa dalla Corte d'assise di Perugia il 24 settembre 1999 (pagina 433 e passim ), risulta che secondo «la tesi prospettata dalla pubblica accusa ... il delitto sarebbe stato deciso da Giulio Andreotti, il quale, attraverso Claudio Vitalone, avrebbe chiesto ai cugini Ignazio e Nino Salvo l'eliminazione dello scomodo giornalista»; 4) sennonché dalla stessa sentenza, sul punto integralmente confermata dalla Corte territoriale e dalle Sezioni unite della Cassazione, risulta che in tutto l'arco del processo mai nessuno ha nemmeno vagamente insinuato che il senatore Andreotti abbia dato al dottor Vitalone il mandato di uccidere Pecorelli. Delle diverse centinaia di persone esaminate sia nell'indagine preliminare che in quella dibattimentale, mai nessuna ha mai accennato neppure vagamente o di sfuggita e nemmeno in via di ipotesi o di illazione al mandato omicidiario conferito dal senatore Andreotti al dottor Vitalone e da questi ai cugini Salvo. Ne hanno parlato invece esclusivamente i pubblici ministeri di Perugia, che sono divenuti in tal modo, a giudizio degli interpellanti la «fonte di prova» unica ed esclusiva dell'accusa; 5) per la prima volta nella storia giudiziaria del Paese, cioè, sono stati gli stessi accusatori a costruire un processo per omicidio aggravato, sostanzialmente sulla base di una loro personale congettura, completamente sganciata secondo gli interpellanti, dalle risultanze di prova e senza che, in nessun angolo del processo, in nessuna testimonianza, in nessun interrogatorio, in nessun atto d'indagine, in nessuna vociferazione neppure anonima si rinvenisse una sola prova idonea a confortarla. In nessuna delle tre sentenze che hanno scandito le diverse fasi processuali si legge un solo vaghissimo cenno alle fonti di prova che avrebbero giustificato quella congettura. La sconcertante realtà è, quindi, che deve ritenersi che queste semplicemente non esistono. E dunque, l'«ipotesi preferibile», «notevolmente complicata e controvertibile», franata «all'urto del contraddittorio dibattimentale», ed il «teorema accusatorio destituito di ogni fondamento», che per dieci anni hanno di fatto contribuito ad alterare gli equilibri politici del Paese, a deturparne l'immagine internazionale, a macchiarne la limpida storia democratica, ad intossicarne la coscienza civile, accreditando il sospetto di collusioni tra poteri legali e criminali e confiscando la vita e la dignità di cittadini innocenti, è soltanto, secondo gli interpellanti, il frutto di un'infondata costruzione dell'organo d'accusa; 6) per dare apparenza di serietà a quella che può sostanzialmente definirsi un'invenzione, e cioè all'«ipotesi preferibile», «notevolmente complicata e controvertibile», che era franata «all'urto del contraddittorio dibattimentale», e al «teorema accusatorio destituito di ogni fondamento» - per ben sei anni (tanto è durata la inconcludente indagine perugina da quella preliminare a quella integrativa e dibattimentale) le migliori risorse dei più diversi apparati investigativi dello Stato, dalla DIA ai R.O.S., dall'arma territoriale allo S.C.O. - sono state di fatto distratte dalla lotta alla criminalità, nel tentativo di riscontrare in qualche modo le dichiarazioni di sedicenti «collaboratori di giustizia» sul mandato omicidiario, dichiarazioni che poi si sono rivelate irrimediabilmente false; 7) la circostanza è emersa inequivocabilmente all'udienza del 7 novembre 1997 davanti alla Corte d'assise di Perugia, allorché il direttore della D.I.A., Colonnello Domenico Di Petrillo, richiesto di riferire l'esito complessivo degli accertamenti sul mandato omicidiario - affidato, secondo il teorema accusatorio, dal senatore Andreotti al dottor Vitalone e da questi ai «cugini Salvo» - ha risposto testualmente: «Io posso dire che gli accertamenti effettuati dal mio Centro non hanno accertato chi possa aver dato il mandato al dottor Vitalone e a chi il dottor Vitalone possa averlo dato, non posso rispondere che questo... Le indagini che abbiamo fatto non hanno portato ad identificare queste persone e neppure se ci sono state. La meccanica del mandato non è stata individuata domanda: "e il mandato?" risposta: "Neppure. Un incarico campato in aria io non so trovarlo"»; 8) per rintracciare le inesistenti prove del mandato «campato in aria» - secondo l'icastica definizione del principale collaboratore dei pubblici ministeri perugini - sono state compiute onerosissime quanto inconcludenti trasferte internazionali persino in Sudafrica e negli U.S.A., aggravando i costi già multimiliardari del processo, che al suo epilogo ha esitato un milione di pagine di atti giudiziari: ovvero - per rendere percettibile l'immagine fisica - mille volumi di mille pagine «formato protocollo» ciascuna; 9) durante tutti gli anni dell'indagine e del processo, a carico dell'Erario sono state poste - fra l'altro - ingentissime somme, destinate ai pentiti, poi rivelatisi del tutto inattendibili, per garantire loro ed ai loro prossimi congiunti un illegittimo programma di protezione, elargito sulla base di una attestazione del pubblico ministero circa la sussistenza dei presupposti di legge in realtà, secondo gli interpellanti, del tutto inesistenti; 10) il senatore Andreotti intervenendo sul tema al Senato della Repubblica il 6 novembre scorso, ha autorevolmente ed attendibilmente affermato che presso il ministero dell'interno esiste la documentazione delle retribuzioni corrisposte ai singoli «collaboratori», che venivano incrementate e addirittura triplicate a misura del contenuto delle dichiarazioni da loro rilasciate; 11) ha altresì precisato di avere invitato i ministri pro tempore - nell'ordine Brancaccio, Coronas, Napolitano e Jervolino - a vigilare perché tale documentazione non venisse distrutta; 12) in ragione delle ricordate pseudo collaborazioni diversi assassini - per tali riconosciuti con sentenze passate in giudicato - hanno ottenuto, per quanto risulta agli interpellanti, non soltanto retribuzioni che hanno talvolta superato il mezzo miliardo di lire (è il caso del noto Balduccio Di Maggio), ma anche riduzioni «premiali» del debito punitivo, secondo gli interpellanti inaccettabili, e sono stati persino restituiti in libertà, condizione nella quale sono tornati (è, ad esempio, ancora il caso del predetto Di Maggio) a compiere efferate imprese omicidiarie; 13) all'indagine condotta dai pubblici ministeri di Perugia hanno dato impulso e sinergico apporto la procura di Roma e quella di Palermo sulla base di iniziative ufficiali coltivate dalla Commissione Antimafia presieduta dall'onorevole Violante; 14) risulta dagli atti del processo Pecorelli che fu proprio l'onorevole Violante, nella ricordata qualità, a dare notizia, il 5 aprile 1993, invece che al procuratore della Repubblica di Roma, unico legittimo destinatario della comunicazione, al sostituto procuratore di Palermo dottor Scarpinato, del contenuto di una telefonata anonima, a lui asseritamente pervenuta in ufficio quella stessa giornata, nel presupposto, erroneo a giudizio degli interpellanti, di una competenza ad indagare sull'omicidio Pecorelli, che il dottor Scarpinato certamente non possedeva. Ed invero: a) l'omicidio Pecorelli era avvenuto nella capitale e non a Palermo; b) delle relative indagini si occupava già da tempo la Procura di Roma; c) Scarpinato era un semplice sostituto, che non poteva essere comunque personale destinatario di una comunicazione ufficiale diretta al suo ufficio; 15) il giorno successivo alla comunicazione dell'onorevole Violante (il 6 aprile 1993) il dottor Caselli ha interrogato Tommaso Buscetta, che ha parlato per la prima volta dell'omicidio Pecorelli, commesso «nell'interesse dell'onorevole Andreotti»; 16) nel successivo interrogatorio del 2 giugno 1993 al Procuratore Capo di Roma dottor Mele, il Buscetta ha «corretto» la sua precedente dichiarazione, precisando che la circostanza relativa all'interesse del Senatore Andreotti al delitto non gli era stata riferita da alcuno, ma era soltanto il frutto di «una sua deduzione». Tale versione il Buscetta confermerà poi lungo l'arco dell'intero processo; 17) risulta ancora dagli atti del processo Pecorelli che, successivamente alla iniziativa dell'onorevole Violante, anche il dottor Salvi, Sostituto della Procura di Roma delegato all'indagine sul caso Pecorelli, ha iniziato ad inviare personalmente al dottor Gioacchino Natoli, anch'egli sostituto in Palermo, una vasta congerie di atti relativi all'omicidio Pecorelli che, secondo gli interpellanti, non avevano alcuna relazione con le attività d'indagine intraprese nell'isola a carico del senatore Andreotti, ma riguardavano una crociera che il dottor Vitalone aveva fatto con la moglie e i figlioletti in Sicilia negli anni settanta; 18) nell'ambito di tali indagini, il dottor Caselli con il pretesto dell'esistenza di «rapporti processualmente rilevanti» tra il senatore Andreotti ed il dottor Vitalone - ha chiesto al C.S.M. il fascicolo personale, di quest'ultimo, donde sorge, secondo gli interpellanti l'esigenza di accertare se fosse stato previamente iscritto nel registro degli indagati; 19) in realtà, tale fascicolo non fu in alcun modo utilizzato nel processo a carico del senatore Andreotti, perché del tutto privo di un qualunque «interesse processualmente rilevante» e no. Ne fu tuttavia trasmessa copia - fuori di ogni e qualunque richiesta e esigenza - ai pubblici ministeri di Perugia, che si dedicarono - senza alcun successo - ad investigare su quarant'anni della vita professionale del dottor Vitalone; 20) nessun fatto derivato o comunque derivabile dal fascicolo personale del dottor Vitalone è stato mai oggetto di contestazione neppure ad opera dei magistrati perugini a conferma dell'anomalia ravvisabile nell'operato della procura di Palermo con l'illegittima acquisizione; 21) sempre nell'alveo dell'indagine palermitana numerosi «pentiti di mafia» sono stati richiesti di fornire notizie sul conto del dottor Vitalone. Le risposte degli interrogati sono state sempre totalmente negative; 22) all'esito di intese intervenute tra magistrati di Palermo, di Roma e di Perugia nei confronti del senatore Andreotti furono attivati due distinti «fronti d'attacco», secondo gli interpellanti in palese trasgressione di ogni regola di competenza e di connessione; 23) il senatore Andreotti è stato così costretto a difendersi per dieci anni in due sedi processuali per accuse che rivenivano dalle stesse «fonti di prova», interamente false per quanto è confermato dall'esito dei giudizi sinora celebrati, e che attenevano al medesimo asserito intreccio di poteri legali e criminali, utilizzati questi ultimi - secondo il teorema dei pubblici ministeri perugini - per uccidere il giornalista Pecorelli; 24) a dirigere il primo dei due «fronti d'attacco» fu destinato il dottor Giancarlo Caselli, magistrato in Torino, addetto come già in passato l'onorevole Violante per molti anni all'ufficio istruzione di quella città; 25) tale destinazione fu disposta con provvedimento assunto, secondo gli interpellanti, in patente violazione delle regole contenute nell'articolo 194 dell'ordinamento giudiziario, posto che il dottor Caselli non aveva neppure compiuto il triennio di stasi funzionale obbligatoria nell'ufficio di presidente di sezione del tribunale di Torino, al quale era stato destinato da appena due anni; 26) a dirigere il secondo dei due «fronti d'attacco», quello di Perugia, fu destinato - in circostanza che il presente atto intende chiarire - il dottor Fausto Cardella, il quale si trovava a quel tempo in applicazione temporanea alla procura di Caltanissetta e lavorava in stretta collaborazione con il dottor Caselli; 27) gli atti del processo furono trasmessi a Perugia dal dottor Salvi iscritto, com'è noto, a «Magistratura democratica»; 28) è così accaduto - per l'inferenza di circostanze che devono essere attentamente indagate - che il processo al senatore Andreotti e al dottor Vitalone sia stato «gestito» da magistrati personalmente legati tra loro, tutti militanti nella stessa corrente della magistratura notoriamente antagonista alla DC e legati da rapporti personali con l'onorevole Violante; 29) ed è anche accaduto che attraverso la comunicazione dell'onorevole Violante, allora Presidente della Commissione Antimafia, siano stati inseriti nel circuito dell'indagine sul caso Pecorelli la procura di Palermo e, con essa, i magistrati Caselli e Scarpinato, nonché attraverso iniziative del sostituto Salvi, anche il pubblico ministero Natoli, esponente di rilievo di altra corrente della magistratura, collocata a sinistra di «Magistratura democratica»; 30) è altresì accaduto che, attraverso l'artificioso coinvolgimento del senatore Vitalone nell'indagine, sulla base di accuse che il giudicato penale conferma essere state false, calunniose e come tali, secondo gli interpellanti, immediatamente riconoscibili, il processo è stato di fatto sottratto al suo giudice naturale ed affidato ad altro magistrato legato al Caselli e al Natoli, ovvero al pubblico ministero di Perugia Fausto Cardella, nei confronti del quale - e proprio per i suoi modi di condurre l'indagine nel processo Pecorelli - severissime censure sono state avanzate dal Procuratore Generale della Cassazione; 31) dagli atti è risultato altresì che già all'esordio dell'indagine l'attendibilità delle distinte dichiarazioni dei cosiddetti «pentiti della banda della Magliana», era minata dalla conoscenza preliminare da parte di ognuno di essi di quanto avevano detto gli altri, determinandosi così, con tale illecito espediente, l'artificioso collimarsi delle dichiarazioni che dovevano essere controllate; 32) da quanto sopra è derivata, secondo gli interpellanti, quale prima irrimediabile conseguenza, l'inquinamento delle fonti di prova e, ulteriormente, il rafforzamento della trama calunniatrice ordita in danno del senatore Andreotti e del dottor Vitalone e gravi ostacoli e ritardi nell'accertamento della verità; 33) la censurabilità dell'attività del magistrato può dedursi da almeno due distinti passaggi della sentenza della Corte territoriale (pagine 330-331 e 358), la quale, proprio con riferimento alle dichiarazioni dei suddetti pentiti, ha affermato che: «il Mancini, prima di rendere le sue dichiarazioni, fu reso edotto di quanto in precedenza dichiarato da Carnovale e, quindi, fu messo in grado di organizzare la sua deposizione in modo da conformarsi... alle dichiarazioni di costui. È Carnovale a sostenere di avere appreso da Mancini le notizie da lui riferite... e sarebbe stato proprio questo il dato da riscontrare attraverso la verifica della corrispondenza fra quanto riferito dal Carnovale e quanto dichiarato dal Mancini, verifica che non può non considerarsi compromessa per le conoscenze che quest'ultimo ha potuto avere delle dichiarazioni dell'altro». Ed ancora: «... anche Antonio Mancini è da ritenere inattendibille, come inattendibili, prima di lui, sono stati ritenuti Carnovale, Moretti, Abbatino e Zossolo. Le apparenti congruenze, quando vi sono, fra le dichiarazioni dei primi tre sono, è il caso di ribadirlo, apparenti, perché la genuinità delle dichiarazioni di Mancini è stata inquinata dalla conoscenza di quanto riferito e verbalizzato da Carnovale e dalla possibilità di scambiare informazioni con la Moretti, mentre la spontaneità delle ammissioni di quest'ultima è stata contaminata dalla conoscenza di quanto riferito e verbalizzato sia da Carnovale, sia da Mancini»; 34) ma dagli atti del processo si desume, secondo gli interpellanti, a carico del dottor Cardella un ulteriore e - se possibile - ben più grave profilo di responsabilità. Ne ha fatto cenno il senatore Andreotti, nel ricordato intervento al Senato della Repubblica del 6 novembre scorso, richiamando le requisitorie del Procuratore Generale della Cassazione. Questi, esaminando in sede disciplinare i contenuti delle intercettazioni ambientali eseguite nell'abitazione di tal Fabiola Moretti, «la donna della banda della Magliana», ha rilevato che la stessa, dopo aver definito «er giudice Cardella» con un'espressione offensiva, ha confidato ai suoi interlocutori di essere a conoscenza del progetto di questo magistrato, che stava cercando di «incastrare Andreotti attraverso Vitalone»; 35) da intercettazione ambientale eseguita presso l'abitazione della Moretti il 27 aprile 1994 (bobina 12, pagine 12 e seguenti) risulta che la «collaborante» ha costretto il pubblico ministero Cardella a strappare due verbali falsi da questi predisposti. La stessa circostanza emerge da altra intercettazione ambientale eseguita nel carcere di L'Aquila, nel corso della quale la Moretti ha confidato al Mancini: «sì, poi m'ha fatto fa un verbale, cioè a lui gli ho fatto strappà il foglio due volte... perché questo non te lo firmo... lui m'aveva fatto n'altri due, capito che erano brutti, eh, io non gliel'ho firmati...»; 36) ancora dall'intercettazione nel carcere di L'Aquila, risulta che la Moretti sarebbe stata oggetto di reiterate, gravissime ed illecite minacce ad opera degli investigatori per costringerla a «collaborare». La Moretti, nel riferire al suo convivente il discorso che le è stato fatto, precisa: «lei ha due possibilità o si pente, oppure io le faccio prendere la reticenza o il concorso sull'omicidio Pecorelli: sono dieci anni».... Dice: «facci conto che noi siamo la sua ombra... e quello gli ha risposto... no» dice: «facci conto che io e lei è come se fossimo sposati»... e quello m'ha risposto... quello coi baffi: «saremo la sua ombra... eh!» E allora io gli ho detto a lui: «Pecorelli? E che... io s'... giornalista, come faccio io a pagà sto' omicidio?» Lui allora m'ha fatto: «... forse dovrà pagare il concorso su Barbieri» «Io me so c... sotto! Capito come?»; 37) sulla base di tali risultanze che suscitavano gravi perplessità sull'operato del pubblico ministero procedente si sarebbe dovuto procedere alla rimessione ex articolo 11 del codice di procedura penale. Ma quelle risultanze sono state del tutto ignorate sia dallo stesso dottor Cardella che dagli altri magistrati della procura di Perugia; 38) nel corso del dibattimento davanti alla Corte d'assise è emerso che la Moretti ed il Mancini - prima della loro asserita collaborazione - hanno avuto una nutrita serie di colloqui investigativi con uomini della DIA: colloqui registrati e trascritti senza che tuttavia alcuna informativa sia stata trasmessa alla competente autorità giudiziaria, a differenza di altri colloqui con altri «collaboranti» per i quali gli investigatori hanno sempre provveduto ad inviare al magistrato regolare rapporto. La documentazione di tali colloqui è stata, secondo gli interpellanti, di fatto occultata per quattro anni ed è stata consegnata alla Corte d'assise soltanto quando il Colonnello Di Petrillo, sotto l'incalzare delle contestazioni difensive, è stato costretto ad ammettere che - oltre ai colloqui investigativi «ufficiali» - ve ne erano stati molti altri. All'udienza del 1 o dicembre 1997, il Di Petrillo ha prodotto supporti magnetici e trascrizioni da lui rinvenuti «casualmente» in quei giorni, nella sua abitazione di privato cittadino (da anni aveva lasciato il servizio). Contestualmente, la DIA ha inviato al pubblico ministero di Perugia, supporti magnetici e trascrizioni di altri colloqui investigativi del Mancini e della Moretti, ignoti agli atti del processo; 39) nel dibattimento di primo grado è altresì emerso che il pubblico ministero Cardella ha autorizzato almeno due missioni negli U.S.A. per «colloqui investigativi» del Colonnello Mauro Obinu e del Maresciallo Antonino Lombardo dei R.O.S. con l'imputato Gaetano Badalamenti, ivi detenuto; 40) il primo di tali «colloqui» - peraltro non consentiti da alcuna norma di legge, attesa la qualità di parte processuale rivestita dal Badalamenti - è avvenuto nel carcere di Memphis (Tennessee) il 12 ottobre 1994 ed ha consentito agli investigatori di acquisire dalla viva voce dell'imputato perentorie smentite all'intero teorema accusatorio e, in particolare, alle «deduzioni» di Buscetta circa il preteso coinvolgimento del senatore Andreotti nel delitto; 41) nel medesimo contesto, il Badalamenti aveva allertato i suoi interlocutori circa «manovre» che alcuni investigatori americani, presumibilmente elementi della C.I.A., stavano compiendo a favore della mafia corleonese e dei suoi referenti politici; aveva sottolineato l'artificiosità degli ostacoli che venivano opposti alla sua audizione in Italia nel processo Pecorelli; aveva segnalato l'attitudine del Buscetta «a farsi manovrare dai giudici ed a rendersi disponibile per qualunque compromesso»; aveva infine fornito, secondo la relazione dei R.O.S., una «tacita conferma» su una «pista alternativa» già seguita autonomamente dai R.O.S., che identificava nei vertici della Guardia di finanza del tempo i mandanti dell'omicidio; 42) i risultati della missione sono stati riferiti dal Colonnello Obinu con relazione del 7 ottobre 1994, nella quale si sottolineava la possibilità di una concreta disponibilità collaborativa del Badalamenti, a condizione «di mantenere estremamente riservato il tenore globale del contatto realizzato»; 43) in seguito a tale informativa, i pubblici ministeri Cardella e Natoli si sono recati negli Stati Uniti in compagnia di uno stuolo di investigatori per interrogare il Badalamenti, il quale, dopo aver protestato per la presenza del magistrato di Palermo (Natoli), che riteneva significativo di un atteggiamento di «controllo» e di sentire l'«acido nello stomaco» per l'approccio non riservato dell'incontro (avvenuto alla presenza anche degli agenti americani Sebastiani e Nigro), ha censurato come «assurde» le rivelazioni di Buscetta ed ha sostanzialmente esortato invece ad indagare sulla pista alternativa già individuata dai R.O.S.; 44) successivamente all'interrogatorio del Badalamenti, durante la cena, come risulta dalla relazione di servizio redatta dall'Obinu e dal Lombardo, il pubblico ministero Natoli manifestò «seria preoccupazione» per l'atteggiamento del prevenuto, che avrebbe potuto «rendersi disponibile come soggetto "attivo" e quindi pericoloso per l'impianto processuale poggiato sulle dichiarazioni di Buscetta» ed invitò gli astanti a «non prendere iniziative avventate»; 45) nella relazione i funzionari del R.O.S. hanno sottolineato che «la formazione della delegazione ed il comportamento volutamente ostativo del F.B.I.» avevano scoraggiato l'auspicata collaborazione del Badalamenti e che era comunque necessario «evitare atteggiamenti ostativi della D.D.A. di Palermo che potrebbe temere uno scomodo inserimento del Badalamenti in dinamiche processuali non ancora saldamente consolidate»; 46) la relazione predetta, versata agli atti del dibattimento, risulta «purgata» del riferimento alle inquietanti «preoccupazioni» del pubblico ministero Natoli; 47) una copia della relazione, consegnata al pubblico ministero di Palermo Imbergamo, risulta priva delle firme dei generali Mori e Nunzella, che pure avevano seguito il caso con chiarezza di operato; 48) un appunto, contenente significativi dettagli che il Maresciallo Lombardo avrebbe raccolto sull'omicidio Pecorelli da una sua fonte confidenziale, risulta «smarrito»; 49) i «viaggi americani» per ascoltare Badalamenti sono indicati negli scritti del Maresciallo Lombardo quale la causa del suo suicidio, avvenuto alla vigilia di un'ennesima missione per gli U.S.A.; 50) all'esito del «processo Pecorelli», tutti i funzionari della D.I.A. che hanno diretto l'indagine (il Colonnello Domenico Di Petrillo, il Vice Questore Alfredo Fiorelli, il Maggiore Marco Magherini Montenero, il Maresciallo Antonio Pesce) sono stati destinati a remunerativi incarichi al SISDE (Fiorelli) o si sono dimessi dall'Amministrazione di appartenenza (Di Petrillo e Magherini) per essere contestualmente assunti da aziende a capitale prevalentemente pubblico o partecipate con stipendi di otto volte superiori a quelli sin'allora percepiti, o hanno ottenuto uno straordinario avanzamento da sottufficiale ad ufficiale (Pesce); 51) all'esito del processo Pecorelli, il pubblico ministero Cardella è stato nominato Procuratore Capo di Tortona; il Procuratore di Palermo Caselli è stato nominato Procuratore Generale di Torino, il dottor Scarpinato è stato promosso procuratore aggiunto di Palermo; il Cons. Natoli è stato eletto al C.S.M. e così pure il dottor Salvi nella successiva «consiliatura»; il pubblico ministero Cannevale è stato applicato, a giudizio degli interpellanti contro ogni corretta regola di organizzazione gerarchica dell'ufficio requirente, alla Procura Generale della Corte d'appello di Perugia. In tal modo, secondo gli interpellanti, sterilizzando la funzione di controllo demandata all'Ufficio sovraordinato, è stata consentita la personalizzazione del processo autorizzando il dottor Cannevale a difendere «l'ipotesi preferibile» che lui stesso aveva contribuito ad elaborare, fino al giudizio di legittimità. E tutto ciò senza che, a giudizio degli interpellanti, la congettura accusatoria, trovasse un barlume di giustificazione o riscontro in nessuna riga dell'intero incarto processuale; ove i fatti esposti rispondano a verità, i sottoscritti chiedono di conoscere quali iniziative immediate i Ministri interpellati - nell'ambito delle rispettive competenze - intendano assumere perché siano adeguatamente censurate in tutte le sedi penali e disciplinari le gravissime responsabilità che ai fatti stessi ineludibilmente si connetterebbero e per la riparazione degli ingentissimi danni erariali conseguenti all'illecito sperpero di pubbliche risorse; chiedono in particolare che il Governo fornisca informazioni: A) sulle iniziative di ordine legislativo, regolamentare e disciplinare che s'intendono assumere per evitare che per l'avvenire la vita e l'integrità morale di un qualunque cittadino possa essere vandalizzata e distrutta sulla base di incolpazioni frutto di mera invenzione o congettura dell'organo d'accusa; B) sull'avvenuta tempestiva revoca dei trattamenti premiali erogati a presunti collaboratori di giustizia le cui dichiarazioni nel processo Pecorelli si siano rivelate, all'esito ormai definitivo del giudizio, false; C) sulla misura complessiva delle somme erogate a vario titolo per i cosiddetti «collaboratori di giustizia», le cui dichiarazioni sono state comunque utilizzate nel processo; D) sui benefici economici o di carriera conseguiti dai magistrati e dagli investigatori che - a vario titolo e competenza - si sono occupati del processo Pecorelli; E) sulle eventuali iniziative assunte in relazione al comportamento del dottor Scarpinato in ordine alla telefonata dell'onorevole Violante e sulla sussistenza di eventuali rapporti che lo stesso magistrato o altri che conducevano le indagini in corso abbiano eventualmente intrattenuto con soggetti estranei alle indagini stesse; se furono svolte indagini dall'autorità giudiziaria per verificare il contenuto delle rivelazioni dell'anonimo interlocutore che avrebbero consentito di rintracciare importanti elementi di prova; F) sulle misure di cautela disciplinare richieste o adottate nei confronti dei magistrati che hanno condotto l'indagine; G) sulla modalità del trasferimento del dottor Giancarlo Caselli dal tribunale di Torino alla procura di Palermo; H) sulle modalità dell'applicazione del dottor Fausto Cardella alla procura di Caltanissetta e del suo rientro alla procura di Perugia in connessione con la trasmissione a tale ufficio del processo Pecorelli; I) sulle ragioni per cui non è stato coperto - proprio in corrispondenza delle indagini preliminari condotte dal pubblico ministero Cardella, all'epoca applicato presso la Procura di Caltanissetta - il posto di Procuratore Capo di Perugia e quello di Procuratore Generale; proprio in corrispondenza del giudizio d'appello; J) se si ritiene conforme ad etica ordinamentale, all'esigenza di garantire la terzietà e la spersonalizzazione della funzione giudiziaria, nonché al principio di sovraordinazione degli uffici del pubblico ministero che lo stesso magistrato il dottor Alessandro Maria Cannevale nella specie, possa: a) condurre le indagini preliminari e concluderle con la richiesta di giudizio; b) rappresentare il pubblico ministero nel giudizio di primo grado; c) proporre appello ed essere applicato alla relativa fase di giudizio; d) proporre ricorso per cassazione; K) se ciò che è in concreto accaduto nel processo Pecorelli - ove la persistente vacanza dell'ufficio di procuratore generale ha consentito ad uno dei magistrati che aveva costruito l'accusa di difenderla fuori da ogni controllo fino all'ultimo grado di giudizio, giungendo a chiedere per essa la condanna all'ergastolo di persone oggi riconosciute irrevocabilmente innocenti - non imponga un drastico intervento normativo per la ridefinizione delle regole dell'applicazione per l'ufficio del pubblico ministero e per evitare ogni strumentalizzazione delle relative funzioni. (2-01065) «Taormina, Bondi, Antonio Leone, Biondi, Sterpa, Adornato, Bruno, Cossiga, Costa, Frigerio, Bertolini, Angelino Alfano, Arnoldi, Azzolini, Burani Procaccini, Caligiuri, Colucci, Crosetto, Di Luca, Mongiello, Palma, Palumbo, Pittelli, Previti, Romano, Santulli, Saponara, Scherini, Testoni, Verdini, Vitali».

 
Cronologia
mercoledì 28 gennaio
  • Parlamento e istituzioni
    Gustavo Zagrebelsky è eletto Presidente della Corte costituzionale

martedì 10 febbraio
  • Parlamento e istituzioni
    La Camera approva la proposta di legge: Norme in materia di procreazione medicalmente assistita (AC 47-B), approvata dal Senato l'11 dicembre 2003 (legge 19 febbraio 2004, n. 40).