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Documenti ed Atti

XV Legislatura della repubblica italiana

INTERROGAZIONE A RISPOSTA ORALE 3/00875 presentata da STRIZZOLO IVANO (L' ULIVO) in data 09/05/2007

Atto Camera Interrogazione a risposta orale 3-00875 presentata da IVANO STRIZZOLO mercoledì 9 maggio 2007 nella seduta n.154 STRIZZOLO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che: negli anni 1987-1992 molte «grandi Società» nazionali - spesso quotate in Borsa - hanno concluso operazioni economico-finanziarie di dividend washing o di dividend stripping consistenti, rispettivamente: a) nell'acquisto/cessione di azioni di Società italiane in tempi ravvicinati, al fine di valersi del «credito d'imposta» (allora vigente) che non sarebbe spettato a soggetti - come i Fondi Comuni d'investimento - tassati in via fortettaria; con l'ulteriore conseguenza che l'imponibile veniva maggiorato di un importo corrispondente al «credito d'imposta» e (spesso) ridotto della differenza fra prezzo dell'azione cum cedola (all'acquisto) è ex cedola (alla vendita); b) nell'acquisizione, da Società straniere, del diritto di usufrutto su azioni di Società (controllate) italiane, al fine di evitare il pregiudizio che sarebbe derivato alle prime (Società partecipanti straniere) - in assenza di dichiarazione dei redditi in Italia o di un trattato internazionale che prevedesse un credito sostitutivo - dal mancato riconoscimento del credito d'imposta (ancorché la Società partecipata italiana avesse corrisposto l'Irpeg); con l'ulteriore conseguenza che l'imponibile veniva maggiorato di un importo pari al «credito d'imposta», ma ridotto del costo (pluriennale) corrisposto (dalla Società italiana a quella straniera) per l'acquisto del diritto di usufrutto (sulle azioni della Società italiana partecipata dalla Società straniera); che tale prassi si stava diffondendo con pericolo di riduzione del gettito erariale, il Parlamento - con legge n. 429 del 1992, di conversione del decreto-legge n. 372 del 1992 - aveva stabilito che, a partire dal 10 novembre 1992, non sarebbe più spettato il «credito d'imposta» a quei contribuenti (fossero essi acquirenti o usufruttuari) che avessero concluso contratti (di compravendita/usufrutto azionario) al fine anche - e talora soprattutto - di utilizzare un credito d'imposta che i «danti causa» del negozio (Fondi Comuni d'Investimento/Società straniere), avuto riguardo alla loro situazione soggettiva, non avrebbero potuto conseguire; la giurisprudenza sia di merito (nella stragrande maggioranza) che di legittimità (cfr. Cassaz., Sentt. 3 aprile 2000, n. 3979; 3 settembre 2001, n. 11351; 7 marzo 2002, n. 3345) aveva riconosciuto che il citato articolo 7- bis del decreto-legge n. 372 del 1992, aveva portata «innovativa» ed intendeva porre uno spartiacque fra il passato e il futuro: tanto più che la stessa Amministrazione finanziaria con Ris. 6 luglio 1993 n. 111-5-002/93 (del Dip. Entrate Dir. Centrale Affari giuridici e contenzioso) aveva confermato che quella disposizione produceva effetti solo a partire dai diritti connessi con i dividendi incassati a partire dal 10 novembre 1992; l'Agenzia delle Entrate, con Circ. 27 dicembre 2002 n. 87/E, aveva disposto che in tutti i casi in cui non fossero ravvisabili situazioni di frode gli Uffici locali - che fossero «parte» di un procedimento contenzioso sul dividend washing - dovevano valutare la opportunità di chiedere al giudice adito la «cessazione della materia del contendere», dato che i relativi procedimenti non meritavano di essere «coltivati» più oltre (anche perché il loro esito doveva ritenersi «segnato», con soccombenza dell'Amministrazione finanziaria); qualche Ufficio locale - in considerazione del fatto che la Circolare 87/E-2002 richiamava (formalmente) solo il dividend washing e non anche il dividend stripping - ha ritenuto di «abbandonare il campo» limitatamente al primo dei due istituti, nonostante - va sottolineato - che lo stesso fosse effettivamente preordinato al conseguimento di un «beneficio fiscale» (sfruttando il regime «speciale» dei Fondi Comuni d'Investimento); e non anche in presenza di usufrutto azionario, ancorché - a ben vedere - quest'ultimo avesse solo la finalità di evitare che le Società straniere - a causa di una legislazione secondo l'interrogante inadeguata - subissero il «maleficio fiscale» del mancato riconoscimento del credito d'imposta (pur in presenza di un dividendo «decurtato» dall'Irpeg corrisposta dalla Società italiana partecipata); taluni Uffici locali (particolarmente «prudenti»), in attesa di una (ragionevole) estensione degli effetti di quella pronuncia anche al secondo dei due istituti, cioè al dividend string, avevano chiesto (e ottenuto) la sospensione dei giudizio sulle controversie in corso in materia di usufrutto azionario Estero/Italia, per cui, dopo una pausa di quattro anni, le udienze (originariamente) fissate per fine 2002, saranno tenute nei prossimi mesi; nel periodo che va dal 21 ottobre al 14 novembre 2005, sono state depositate tre Sentenze della Corte di Cassazione (Sent. 21 ottobre 2005, n. 20398; Sent. 26 ottobre 2005, n. 20816; Sent. 14 novembre 2005, n. 22932), le quali - con riferimento a controversie sul dividend washing e sul dividend stripping, nonostante il contrario avviso del procuratore generale - hanno dichiarato nullo (civilisticamente) per «carenza di causa» il contratto di dividend washing o di usufrutto azionario concluso fra Società italiane e, rispettivamente, Fondi Comuni d'investimento e Società straniere; e, in un altro caso, «simulato» e in contrasto con norme imperative, il dividend stripping (ponendosi in contrasto con quello che sembrava essere il consolidato orientamento della giurisprudenza del 2000-2002, tant'è che la stessa Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha chiesto, con Ordinanza n. 12301 del 24 maggio 2006, l'intervento delle «Sezioni Unite»); avuto riguardo al predetto (recente) orientamento della Corte di Cassazione, diverse di quelle Società che, quasi vent'anni fa, avevano posto in essere quelle operazioni (allora ritenute fiscalmente corrette) - si trovano ora a dover affrontare una situazione del tutto inattesa e obiettivamente rischiosa, in considerazione dei predetto revirement giurisdizionale; ancorché la dottrina (praticamente unanime) abbia criticato - sia sul piano civilistico che tributario - tale «nuovo» orientamento dei giudici, che pretendono di trasporre nel diritto tributario (speciale) principi e criteri che sono propri dei diritto civile (generale); per di più penalizzando - dei due istituti - quello che si presenta più coerente (imponibilità a monte/deducibilità a valle: eliminazione di un «maleficio»); tale interpretazione - se si affermerà - finirà per privare di qualsiasi rilievo tutte le norme con cui il Parlamento e il Governo intendevano limitare la valenza (solo) tributaria dei dividend washing (e del dividend stripping), dato che la previa verifica civilistica indurrà (probabilmente) i giudici a eccepire la nullità dei contratti sotto il profilo «sostanziale», per poi farne discendere la (loro) irrilevanza anche sul piano tributario, facendo così venir meno la efficacia di tutta (o quasi) la legislazione «tributaria» emanata in materia (anche quella più recente); tale orientamento giurisprudenziale determinerebbe l'assurda conseguenza che le operazioni considerate dal Legislatore «potenzialmente elusive» finirebbero per godere di un trattamento più favorevole rispetto a quello delle operazioni che il Fisco non ha ritenuto «pericolose»: perché la «inopponibilità» al Fisco delle prime può essere dichiarata solo dopo che sia stata provata la sussistenza delle tre condizioni previste dalla cd. «disposizione antielusiva generale» (articolo 37- bis /600) [risparmio d'imposta indebito, aggiramento di obblighi e divieti previsti dall'ordinamento tributario, assenza di valide ragioni economiche], mentre le seconde (non considerate pericolose per gli interessi erariali) potrebbero essere dichiarate nulle (e, quindi, prive di qualsiasi effetto, anche tributario) quando, a parere dell'Ufficio e, poi, dei giudici, fossero ritenute carenti di «ragioni economiche» diverse da quelle fiscali (ancorché non si possa disconoscere anche a queste ultime una evidente rilevanza economica); ove si consolidasse il recente orientamento della Corte di Cassazione, si introdurrebbe, nel diritto tributario italiano, un elemento di così rilevante incertezza da indurre le Società a trasferire la loro sede all'estero, al fine di evitare i rischi connessi con interpretazioni che finirebbero per mettere in difficoltà Società che non solo ritenevano di aver operato correttamente, ma che erano state confortate da una giurisprudenza, una prassi e una dottrina pressoché unanime nel confermare la validità e regolarità delle operazioni poste in essere fino al 10 novembre 1992: senza sottacere il trattamento discriminatorio che si verrebbe a determinare, sul territorio nazionale, a seconda del comportamento adottato dagli Uffici locali dell'Agenzia delle Entrate, in risposta: prima, all'orientamento della giurisprudenza e, poi, alle istruzioni rese nel 2002 dalla Direzione Centrale della Agenzia delle Entrate: in data 27 ottobre 2006, è stato presentato l'ordine del giorno n. 9/11750/12, accolto dal Governo, in sede di discussione della «Finanziaria 2007» e trasmesso al Ministro dell'economia il 15 dicembre 2006, che recita; «premesso che: dopo l'entrata in vigore del decreto-legge 9 settembre 1992, n. 372, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 novembre 1992, n. 429, vi è stata una applicazione non univoca, in particolare per quanto previsto dall'articolo 7- bis, comma 1, del sopra richiamato decreto-legge, impegna il Governo a dare agli organi dell'amministrazione le necessarie ed opportune indicazioni affinché vengano emanate apposite istruzioni e chiarimenti al fine di confermare la validità a tutti gli effetti dei negozi giuridici ivi considerati e stipulati antecedentemente alla entrata in vigore del sopra indicato decreto-legge 9 settembre 1992, n. 372, convertito dalla legge 5 novembre 1992, n. 429»; è coerente logica politico-amministrativa: 1) dare attuazione concreta ad una Legge dello Stato che è stata, prima, costantemente applicata (fino al 2002) sia dalla prassi amministrativa che dalla giurisprudenza, ma che da ultimo (ottobre-novembre 2005) risulta essere inopinatamente disattesa; 2) evitare qualsiasi ulteriore contrasto interpretativo che finirebbe con il determinare ulteriori incertezze e un grave disorientamento fra gli operatori economici e giuridici, nonché negli Uffici finanziari (centrali e periferici); 3) ristabilire una «situazione di diritto», in cui valga il principio di affidamento della normativa (nel caso, l'articolo 7- bis del decreto-legge n. 372 del 1992, come convertito in legge n. 429 del 1992) che ha introdotto, solo dal 10 novembre 1992, il divieto di utilizzare, nelle situazioni ivi indicate, il «credito d'imposta» (ferma restando, ad ogni effetto, anche tributario, la validità e rilevanza dei negozi sottostanti) -: quali iniziative - verso gli Organi dell'Amministrazione - ha assunto il Governo per dare concreta attuazione all'impegno determinato dall'accoglimento, in data 27 ottobre 2006, del sopra richiamato ordine del giorno n. 9/1750/12. (3-00875)

 
Cronologia
domenica 6 maggio
  • Politica estera ed eventi internazionali
    In Francia Nicolas Sarkozy vince le elezioni presidenziali, sconfiggendo la candidata socialista Ségolène Royal, e diventa il 23° Presidente della Repubblica francese.

giovedì 10 maggio
  • Parlamento e istituzioni
    La Camera approva, con 298 voti favorevoli e 150 contrari, l'emendamento Dis. 1.1 del Governo, interamente sostitutivo dell'articolo unico del d.d.l. C. 2534 di conversione del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, recante disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario, sul quale il Governo ha posto la questione di fiducia.