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Documenti ed Atti

XVIII Legislatura della repubblica italiana

MOZIONE 1/00016 presentata da BINETTI PAOLA (FORZA ITALIA BERLUSCONI PRESIDENTE) in data 05/06/2018

Atto Senato Mozione 1-00016 presentata da PAOLA BINETTI martedì 5 giugno 2018, seduta n.009 BINETTI, DE POLI, MALAN, ALDERISI, QUAGLIARIELLO, SACCONE, FLORIS, LONARDO, PAROLI - Il Senato, premesso che: l'articolo 32 della Costituzione italiana, al primo comma e al primo periodo del secondo comma, dispone che: "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può esser obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge". In questo modo si raggiungono tre obiettivi, di cui due espliciti e concreti, mentre il terzo obiettivo resta sullo sfondo e conserva a giudizio dei proponenti una sorta di ambiguità, che negli ultimi tempi ha creato diverse situazioni di potenziale conflittualità; se, da un lato, sono chiaramente definiti i primi due obiettivi, il primo che pone in carico allo Stato il dovere di curare e il secondo che sottolinea la libertà del paziente di rifiutare le cure quando non ne condivide la ratio , dall'altro, non appare sufficientemente definito il ruolo più complesso del medico, che si colloca tra i doveri dell'uno e i diritti degli altri; l'effetto che ne deriva è una potenziale conflittualità sia rispetto allo Stato, sia riguardo al paziente. Se, da un lato, infatti, al medico abilitato all'esercizio della professione compete l'obbligo di curare, per garantire la salute dei pazienti, dall'altro, appare più difficile esercitare tale dovere davanti ad un eventuale rifiuto del paziente. Il paziente ha il controllo della situazione in tutte le diverse fasi, perché è lui che si reca dal medico per esporre la sua situazione e chiedere aiuto, ed è lui che accetta o rifiuta di farsi curare. Nel frattempo il medico, dopo aver investito non meno di 10 anni per diventare uno specialista con le indispensabili competenze necessarie per svolgere la sua funzione di curante, resta in attesa della richiesta del paziente per potergli fare una proposta di diagnosi e cura, che può essere respinta o accettata, in parte o in toto ; si confrontano così due diversi livelli di libertà, in cui il medico propone, sulla base della propria esperienza e competenza, ciò che ritiene più conveniente per il paziente, mentre il paziente decide sulla base del suo vissuto, delle sue aspettative e dei suoi timori, che cosa vuol fare, senza necessariamente dover motivare al medico la sua decisione. Al medico compete di informare, al paziente di decidere. La libertà del medico è condizionata anche da criteri di natura economica, per esempio i costi delle prestazioni in rapporto al budget disponibile e i modelli organizzativo-gestionali del centro in cui opera, sia esso ospedaliero che ambulatoriale; la "legge Gelli" sulla responsabilità del medico, legge 8 marzo 2017, n. 24, recante "Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie", all'articolo 1 afferma: "La sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell'interesse dell'individuo e della collettività". In tal modo si ribadisce che la sicurezza delle cure rientra a pieno titolo nella responsabilità del medico ed è parte integrante del diritto alla salute, ai sensi dell'articolo 32 della Costituzione. Di conseguenza, a giudizio dei proponenti la responsabilità del medico assume un carattere perentorio e aumenta la consapevolezza che la sua libertà nelle scelte diagnostico-terapeutiche è determinante per potersene assumere piena responsabilità; alle potenziali ambiguità di una formulazione tanto ampia quanto generica supplisce il codice di deontologia medica, che all'articolo 3, con riferimento ai doveri generali e alle competenze del medico, afferma: "Doveri del medico sono la tutela della vita, della salute psico-fisica, il trattamento del dolore e il sollievo della sofferenza, nel rispetto della libertà e della dignità della persona, senza discriminazione alcuna, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera (…) La diagnosi a fini preventivi, terapeutici e riabilitativi è una diretta, esclusiva e non delegabile competenza del medico e impegna la sua autonomia e responsabilità". Proprio sull'esclusività di questa competenza di diagnosi e cura, non delegabile a nessuno, si fonda la specificità dell'agire medico, con i suoi doveri, ma anche con il suo diritto inalienabile ad agire sempre in scienza e coscienza; l'articolo 4 del codice dispone: "L'esercizio professionale del medico è fondato sui principi di libertà, indipendenza, autonomia e responsabilità". In tal modo chiarisce come il medico, nell'esercizio della professione, debba sempre ispirarsi "alle regole della deontologia professionale senza sottostare a interessi, imposizioni o condizionamenti di qualsiasi natura"; il rapporto tra medico e paziente si sviluppa nell'ambito di una relazione di cura, come quella descritta all'articolo 20 del codice che recita: "La relazione tra medico e paziente si fonda sulla libertà di scelta e sull'individuazione e condivisione delle rispettive autonomie e responsabilità. Il medico nella relazione persegue l'alleanza di cura fondata sulla reciproca fiducia e sul mutuo rispetto dei valori e dei diritti e su un'informazione comprensibile e completa, considerando il tempo della comunicazione quale tempo di cura". Si tratta in altri termini di una relazione basata sul rispetto reciproco della libertà, dell'autonomia e della responsabilità di entrambi. Appare così superato il vecchio paternalismo medico, ma non si dà atto a nessun capovolgimento di prospettive e al medico si chiede di fare il medico in scienza e coscienza, esercitando contestualmente la sua libertà e la sua responsabilità; la Corte di cassazione, nella sentenza 23 novembre 2010, n. 8254, stabilisce: "Nel praticare la professione medica il medico deve, con scienza e coscienza, perseguire un unico fine: la cura del malato, utilizzando i presidi diagnostici e terapeutici di cui al tempo dispone la scienza medica, senza farsi condizionare da esigenze di diversa natura, da disposizioni, considerazioni, valutazioni, direttive che non siano pertinenti rispetto ai compiti affidatigli dalla legge ed alle conseguenti relative responsabilità"; il Tar di Lecce, nella sentenza n. 1600 del 2016, ha riconosciuto la "discrezionalità del medico nella scelta del farmaco più indicato per il proprio paziente", affermando che il medico "non può essere obbligato a indicare nella prescrizione esclusivamente il nome del principio attivo e quindi non può essere rimessa al farmacista la scelta concreta del farmaco da somministrare", in quanto quest'ultimo "non ha infatti né la competenza tecnica, né la conoscenza del quadro clinico dell'assistito" e sottolineando, quindi, che "anche il risparmio della spesa farmaceutica trova il limite del rispetto e della garanzia della libertà prescrittiva del medico quale libertà che si estrinseca proprio nella individuazione del farmaco sulla base del nome commerciale dello stesso"; il Tar del Piemonte, nella sentenza n. 382 del 2017, afferma che per le terapie già in corso è consigliato il mantenimento del trattamento farmacologico in essere andando ad annullare la deliberazione della Giunta regionale sugli obiettivi economici dei direttori generali che, di fatto, ingenerava nei destinatari una propensione a far indirettamente prevalere logiche di risparmio a discapito del parametro dell'appropriatezza della cura; la sentenza del Consiglio di Stato del 15 giugno 2011 afferma la libertà prescrittiva del medico, pur precisando: "gli atti impugnati fanno esplicitamente salva la possibilità che il medico prescriva un prodotto diverso (e più costoso) di quello aggiudicatario, restando la spesa a totale carico del servizio pubblico, sempreché il prescrittore giustifichi la sua scelta con una relazione motivata"; a fronte delle disposizioni normative citate e dei principi giurisprudenziali richiamati, alcune Regioni vogliono condizionare e restringere l'autonomia prescrittiva del medico, il suo diritto-dovere di prescrivere in scienza e coscienza il medicinale biologico più appropriato alle esigenze del paziente. Il criterio economico-centrico induce a prescrivere quei farmaci che a parità di prodotto specifico costano meno, come accade nella delibera della Giunta regionale del Friuli-Venezia Giulia 21 aprile 2017, n. 736, in cui si afferma che "i prescrittori (i medici) prescrivano il principio attivo e il farmacista gestisca scelta e approvvigionamento del prodotto". Il fatto però è che non sempre prodotti che sembrano uguali sulla base del principio attivo contenuto, lo sono realmente, e sono gli stessi pazienti a decretare che quel farmaco risulta più efficace dell'altro, non solo sul piano soggettivo, ma anche per gli effetti descritti. Obbligare quindi il medico a prescrivere il prodotto che costa meno, solo perché contiene lo stesso principio attivo a parità di dosaggio, crea una limitazione all'accesso a specifici farmaci, con un potenziale pregiudizio per i livelli essenziali di assistenza; l'AIFA, all'interno del secondo "Concept paper" del 15 giugno 2016, chiarisce: "i medicinali biologici e biosimilari non possono essere considerati sic et simpliciter alla stregua dei prodotti equivalenti, escludendone quindi la sostituibilità automatica", sottolineando che per i pazienti già in cura "l'opportunità di sostituzione resta affidata al giudizio clinico"; nel mese di aprile 2018, l'AIFA ha pubblicato un nuovo "Position paper" nel quale, pur ammettendo l'intercambiabilità tra originator e biosimilare, e quindi la possibilità che il paziente già in cura con l'uno possa essere successivamente trattato anche con l'altro medicinale, si conferma che la scelta in merito a tale opzione compete esclusivamente al medico prescrittore, escludendo quindi qualsiasi possibilità di sostituzione ad opera del farmacista; la legge 11 dicembre 2016, n. 232, all'articolo 1, comma 407, prevedendo il divieto di sostituibilità automatica tra farmaco biologico di riferimento e un suo biosimilare, così come tra biosimilari, ribadisce l'autonomia del medico nella scelta terapeutica, affermando il diritto di prescrivere il farmaco ritenuto idoneo alla continuità terapeutica; la biosimilarità è solo uno dei parametri di riferimento, certamente importante ma non esclusivo; il dottor Ettore Giustini Saffi, responsabile di farmacologia della Società italiana di medicina generale, ha dichiarato: "spetta al medico decidere che cosa utilizzare dopo aver valutato il paziente. Con due avvertenze: se il farmaco funziona la continuità terapeutica non va intaccata; se il paziente non è mai stato trattato non presenta ragioni particolari per essere trattato con biologici originali", impegna il Governo: 1) a ribadire la libertà di scelta terapeutica, dal punto di vista etico e legale, da parte del medico, per garantire le migliori modalità di trattamento per il singolo paziente, basandosi su valutazioni di tipo clinico e non meramente economico, senza condizionamenti indebiti ad opera di soggetti non medici; 2) ad assumere iniziative concrete per garantire l'omogeneità dell'applicazione di tale principio, anche al fine di assicurare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza e di scongiurare il continuo ricorso alla magistratura competente; 3) ad assumere iniziative per garantire la continuità terapeutica per i pazienti già in trattamento, vietando da parte del farmacista la sostituzione automatica di un farmaco con un altro, fosse pure un biosimilare, in assenza di motivazioni cliniche e qualora la scelta risulti dettata meramente da motivi economici. (1-00016)