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Portale storico della Camera dei deputati

Presidenti

Giuseppe Colombo

Nasce a Milano il 18 dicembre 1836
Deceduto a Milano il 16 gennaio 1921
Laurea in Ingegneria; Insegnante di scuole superiori, Ingegnere

Biografia

Nasce a Milano il 18 dicembre 1836. Si rivela presto un giovane di notevoli doti intellettuali con una singolare inclinazione per gli studi scientifici.
Si iscrive alla facoltà di matematica dell'università di Pavia, dove entra in contatto con Francesco Brioschi, docente di matematica applicata e futuro fondatore del Politecnico di Milano, e con Giovanni Codazza, docente di meccanica applicata, del quale diventa assistente a soli diciannove anni. Conseguita la laurea nel 1857, torna a Milano e insegna geometria e meccanica alla Società di Incoraggiamento d'Arti e Mestieri, nata per iniziativa della borghesia mercantile e industriale milanese, allo scopo di creare una stretta interazione tra sapere scientifico e realtà produttive.
Dopo l'esperienza da volontario garibaldino nel 1859 torna all'insegnamento, dedicandosi ad un'intensa attività pubblicistica, dalla quale emerge la grande attenzione allo sviluppo industriale in atto in Europa. Grazie ai lungimiranti orientamenti della Società di Incoraggiamento, Colombo ha la possibilità di recarsi più volte all'estero, in occasione di esposizioni industriali, ma anche per visitare fabbriche e scuole, acquisendo così esperienze da mettere a frutto in Italia.
Nel dicembre del 1863 Brioschi fonda a Milano l'Istituto tecnico superiore, già dai primi anni indicato come Politecnico per i diversi studi di ingegneria praticati: Colombo ne diventa uno dei primi docenti. Nel 1865 è titolare della cattedra di meccanica e ingegneria industriale, indirizzo di studi che costituisce una novità assoluta per l'Italia. La grande passione per l'insegnamento, l'efficacia delle sue lezioni e l'entusiasmo per i progressi tecnologici permettono a Colombo di formare un folto gruppo di ingegneri e di futuri imprenditori, fra i quali Giovan Battista Pirelli, pioniere dell'industria italiana della gomma, ed Enrico Forlanini, pioniere nel nascente settore aeronautico.
Dopo la partecipazione alla guerra del 1866 nel Corpo della Guardia nazionale di Valtellina, torna a dedicarsi all'insegnamento e all'attività di pubblicista.
Convinto sostenitore della valenza strategica dell'istruzione tecnica superiore nella nuova fase di industrializzazione, Colombo spende tutte le sue energie per diffonderla in Italia anche attraverso conferenze serali presso la Società di Incoraggiamento, che gli valgono grande popolarità.
Il settore delle comunicazioni e dei trasporti è oggetto di suoi studi di notevole rilievo, con particolare riferimento a quelli inerenti il sistema ferroviario, finalizzati a superare le difficoltà incontrate in quegli anni nella realizzazione di trafori e di lunghe gallerie.
Colmando una lacuna della pubblicistica tecnica, Colombo condensa in un piccolo volume "la più grande quantità possibile" di dati matematici e di tabelle indispensabili nella pratica professionale dell'ingegnere e nel giugno del 1877 pubblica il Manuale dell'ingegnere, che diventerà il testo base per generazioni di tecnici e che giungerà, dopo vari aggiornamenti ed ampliamenti, alla ottantaquattresima edizione.
Nel 1881 è tra i promotori dell'Esposizione industriale nazionale di Milano, che evidenzia già il diffondersi di interessanti realtà industriali meccaniche, specialmente nel nord del Paese. Il ruolo svolto dal Politecnico milanese per il raggiungimento di tale risultato è innegabile; in questo senso la manifestazione rappresenta il coronamento dell'intenso lavoro di Colombo.
Tuttavia la sua preoccupazione è quella di coniugare l'incessante progresso tecnologico con le caratteristiche tipiche della società italiana e cioè sostenere uno sviluppo economico fondato sulla piccola industria, più facile da integrare con il tessuto agricolo del Paese e più capillare sul territorio e che, quindi, consenta di evitare le problematiche di ordine sociale legate allo sradicamento delle masse operaie dalle campagne verso i grandi agglomerati urbani.
Alla mostra internazionale dell'elettricità di Parigi del 1881 Colombo intuisce immediatamente le potenzialità e le possibili applicazioni su base industriale della macchina dinamo elettrica, presentata da Edison. Tornato a Milano chiede ed ottiene l'aiuto di alcuni banchieri, con i quali istituisce il Comitato per le applicazioni dell'elettricità sistema Edison Italia. A luglio dello stesso anno stipula un contratto di esclusiva per l'Italia con il rappresentante della Compagnia continentale Edison e acquista lo stabile del vecchio teatro di via Santa Radegonda, dove comincerà ad operare la prima centrale elettrica d'Europa. Nel 1884, sciolto il Comitato, è istituita la Società generale italiana di elettricità sistema Edison, di cui Colombo diventa amministratore delegato. Le diffidenze verso il nuovo tipo di illuminazione, le polemiche da parte della cittadinanza per temuti danni ai monumenti e alla quiete, ma soprattutto la concorrenza della società Union des Gaz, concessionaria dell'illuminazione pubblica di Milano, impongono a Colombo un impegno in prima persona per garantire continuità e qualità del servizio di erogazione.
All'intensa attività imprenditoriale Colombo affianca un impegno politico, che lo porterà a ricoprire prestigiosi incarichi a livello nazionale.
Eletto consigliere al comune di Milano dal 1881 al 1889, partecipa assiduamente alle sedute, occupandosi in particolare dell'assetto della città, che nell'idea di Colombo deve ritagliarsi un ruolo di centro commerciale internazionale e non di semplice sede della grande industria. Lavora attivamente all'espansione urbanistica della città ed è per questo che nel 1885 è chiamato a far parte della commissione per il nuovo piano regolatore.
Quanto alla sua collocazione politica sono note le sue simpatie giovanili per Mazzini, che conosce personalmente a Londra nel 1861 durante uno dei suoi primi viaggi all'estero. Ben presto però approda a posizioni moderate.
Si definisce "un conservatore moderno", interessato a studiare con metodo scientifico i problemi sociali e a condurre la società senza rivolgimenti verso i nuovi traguardi tracciati dal progresso scientifico.
Il 23 maggio 1886 è eletto deputato della XVI legislatura nel collegio di Milano. Esordisce in Parlamento il 7 dicembre 1886 nella discussione sul bilancio della pubblica istruzione con un discorso sull'importanza dell'insegnamento tecnico, di cui denuncia l'inadeguatezza nel Paese.
Dai banchi della Camera critica aspramente la politica fiscale dei governi di sinistra, denunciando gli eccessivi carichi fiscali sulla terra, sui fabbricati, sulla ricchezza mobile, che insieme alla crescita della spesa per gli armamenti e al conseguente disavanzo del bilancio dello Stato, frenano lo sviluppo economico. Si oppone, quindi, alla politica di Crispi, che ritiene del tutto inadatta a rafforzare la struttura economica del Paese.
Rieletto deputato dalla XVII alla XX legislatura, diventa Ministro delle finanze nel 1891 nel primo Governo del marchese Di Rudinì, ma dopo circa un anno si dimette per non venir meno all'impegno assunto con gli elettori di non aumentare le tasse, necessarie per finanziarie nuove spese militari.
Dopo la sconfitta di Adua del 1896 è chiamato nuovamente al governo in qualità di Ministro del tesoro nel secondo Governo di Rudinì.
Dopo aver ricoperto la carica di Vicepresidente della Camera dal 18 novembre 1898 al 30 giugno dell'anno successivo, il 15 novembre 1899 ne è eletto Presidente e si trova a dover affrontare l'ostruzionismo della "estrema" per le leggi eccezionali riproposte dal generale Pelloux. Colombo, determinato ad assicurare il regolare svolgimento dei lavori, reagisce alle tensioni con una proposta organica di modifiche al Regolamento, proposta che contribuisce a surriscaldare ulteriormente gli animi. Il 31 marzo 1900 presenta le dimissioni, ma nella seduta del 2 aprile 1900 è rieletto alla Presidenza della Camera. Presiede solo due sedute, in quanto la ripresa dell'ostruzionismo porta allo scioglimento della Camera stessa, il successivo 18 maggio.
Nelle elezioni del 3 giugno 1900 Colombo è sconfitto nel collegio che lo ha più volte eletto dal candidato socialista Luigi Majno. L'11 novembre dello stesso anno è nominato senatore e continua ad occuparsi di questioni economico-finanziarie e di problemi di bilancio, in qualità di membro della Commissione finanze di Palazzo Madama.
L'intensa attività politica non gli impedisce tuttavia di proseguire i suoi impegni scientifici e imprenditoriali. Oltre agli incarichi di rilievo nella società elettrica Edison, della quale diventa presidente nel 1896, Colombo diventa rettore del Politecnico alla morte di Brioschi nel 1897, presidente del Collegio degli ingegneri e architetti e del Credito italiano dal 1909.
Muore improvvisamente a Milano il 16 gennaio 1921.

XX Legislatura del Regno d'Italia

Tornata del 16 novembre 1899

All'apertura della terza sessione della XX legislatura, il 15 novembre 1899, Giuseppe Colombo è eletto Presidente della Camera dei deputati con 198 voti su 387 votanti. Le opposizioni sostengono, invece, la candidatura di Giuseppe Biancheri, che riporta 179 voti. Nel discorso di insediamento, Colombo deplora le manovre ostruzionistiche della precedente sessione e afferma che bisogna impedire ad ogni costo che si diffonda una sensazione di inefficacia delle istituzioni parlamentari, a causa di momentanei, ma prolungati dissensi, che possono indebolire i sentimenti del popolo verso le istituzioni. Richiama, quindi, i deputati ad un uso rispettoso del Regolamento, onde evitare di dover fare ricorso a misure restrittive della libertà di parola per impedirne l'abuso. Invita, quindi, i deputati ad accantonare i contrasti e ad operare in nome dei «più immediati vitali interessi» dell'Italia, approvando al più presto le leggi dirette a consolidare l'economia nazionale e creando il clima di stabilità indispensabile per lo sviluppo economico del Paese.

Presidente. (Vivi segni d'attenzione). Onorevoli colleghi. Io vi sono grato dal profondo dell'animo della fiducia della quale mi avete voluto onorare, affidandomi l'altissimo ufficio di presiedere ai vostri lavori. Nessun onore può eguagliare quello di dirigere le discussioni dell'Assemblea di una grande nazione; e l'averlo ottenuto dal vostro benevolo suffragio sarà il più caro e incancellabile ricordo della mia vita politica. Assumendo questo alto incarico, io non mi dissimulo l'insufficienza mia; e tanto più ne ho la coscienza, quando penso agli uomini illustri che mi hanno preceduto in questo seggio, i quali, forti dell'autorità conquistata col senno politico e con le benemerenze patriottiche, hanno saputo meritarsi in questo posto la stima e la gratitudine della Camera. Né posso dimenticare il mio eminente predecessore, il carissimo collega che da tanto tempo abbiamo appreso a rispettare e stimare, e pel quale nutriamo sempre un così vivo affetto, l'onorevole Chinaglia. (Bravo! - Approvazioni). Son certo anzi di interpretare il sentimento di tutti, portando a lui a nome vostro quel reverente saluto che le circostanze non ci permisero di dargli alla fine della passata Sessione. (Vivi applausi). Arduo è sempre il còmpito che ora sto per assumere; oggi, forse, più arduo che mai. Forse, conoscendo la pochezza delle mie forze, avrei dovuto rimaner tranquillo fra voi su quei banchi, e lasciar ad altri più autorevoli e migliori di me l'onore di presiedervi. Ma ho vinto l'incertezza che teneva sospeso l'animo mio, confortato dalla speranza che non venga mai a mancarmi il vostro appoggio. E d'altra parte, penso che ognuno in questa Camera deve pur assumere la sua parte di responsabilità, (Bene!) e, chiamato, rispondere all'appello, contribuendo, nella misura delle sue forze, al bene comune; né io ho voluto sottrarmi a quest'obbligo. Questi due sentimenti, la fiducia incrollabile in voi, carissimi colleghi, e l'idea del dovere, spieghino e giustifichino ai vostri occhi quello che può parere, ed è senza dubbio, un atto di temerità da parte mia. Se mi troverete impari al còmpito, non sarà certo per mancanza di buon volere: ho risposto all'appello e, col vostro aiuto, e comunque mi costi, cercherò di fare fino all'ultimo il dover mio. E, qualunque cosa avvenga, sarà sempre un compenso di gran lunga superiore al mio merito il pensiero che voi mi avete creduto degno del vostro suffragio. La situazione, è inutile dissimularlo, non appare priva di difficoltà (Segni d'attenzione); e io credo, che colui il quale ha l'altissimo onore di presiedervi, abbia anche l'obbligo di esprimere su di essa schiettamente il suo pensiero. (Nuovi segni d'attenzione). Onorevoli colleghi, a mantener vive e feconde le istituzioni rappresentative non bastano né il loro valore intrinseco, né virtù di Re, ma si richiede il continuo e vigilante concorso di tutti coloro ai quali il loro retto funzionamento è affidato (Benissimo!); è quindi grande la responsabilità dei rappresentanti della Nazione, cui incombe soprattutto il dovere di custodirne gelosamente il prestigio. Noi dobbiamo impedire ad ogni costo che si mettano in dubbio la suprema importanza politica e l'efficacia delle nostre istituzioni parlamentari; noi dobbiamo dimostrare che l'Aula parlamentare non è, come taluni mostrano di credere, una palestra di vani dibattiti, ma un tempio dove si trattano i più vitali interessi della Nazione, d'onde si irradia nel paese l'esempio di ogni civile virtù. (Bene! Bravo!) Ragioni anche legittime, sdegni anche generosi, possono turbare di tratto in tratto la serenità di questo ambiente; ma nella Camera italiana, che ha tradizioni così intemerate e gloriose, questi turbamenti non sono mai stati, né devono esser mai, che tempeste passeggiere dopo le quali torna a imperare la calma. (Benissimo!). Guai se ciò non fosse: guai se i vostri momentanei dissensi avessero, prolungandosi, a indebolire nell'animo delle popolazioni l'affetto per queste istituzioni, sotto l'egida delle quali si è fatta, e si è consolidata la patria. (Benissimo! Bravo!).Ma voi, onorevoli colleghi, dissiperete certo, coi vostri abituali e corretti procedimenti, queste vaghe apprensioni che turbano l'animo di molti patriotti sinceri. Voi sapete, per antica e invidiata consuetudine, come si possa mantenere, anche verso gli avversari politici, quella equanimità e quella tolleranza, che furono sempre il carattere distintivo, da tutti riconosciuto, dei nostri costumi parlamentari. Non v'ha dunque dubbio che continuerete a procedere con la stessa equanimità, rispettando egualmente i diritti di tutti: i diritti delle maggioranze, come quelli delle minoranze. (Benissimo!). Noi abbiamo il più liberale di tutti i Regolamenti, e questo forma il vanto della Camera italiana. Dobbiamo quindi esserne orgogliosi; dobbiamo dimostrare a tutti che non abbiamo bisogno di misure restrittive della libertà di parola per impedirne l'abuso (Vivissime approvazioni a sinistra). Per quanto mi riguarda, confido che potrete bensì tacciarmi di essere inabile, ma giammai di mancare a quella rigorosa imparzialità, della quale i miei predecessori mi hanno lasciato così splendidi esempi. Vorrei dirvi come vi disse qualche anno fa da questo posto un nostro illustre collega: «io mi considero il presidente non della maggioranza, ma della Camera.» E prendo impegno, e potete contare su di me, di rispettare lealmente e scrupolosamente il nostro Regolamento, pur usando del diritto, che esso mi conferisce, di temperare le vostre discussioni. Così io darò tutto me stesso, pur di conquistare la vostra fiducia. Onorevoli colleghi, l'augusta parola del Re ci ha invitati a discutere nuove leggi dirette a migliorare le condizioni economiche del paese. Ispiriamoci dunque al più puro amore della patria nostra, e facciamo comprendere al paese che al disopra dei nostri passaggeri dissensi, al disopra delle gare di partito, al disopra delle questioni di forma, al disopra di tutto, noi mettiamo i suoi più immediati vitali interessi. Occupiamoci, prima d'ogni altra cosa, di tutte le proposte che possano consolidare l'economia nazionale e fecondare quel rigoglioso risveglio che per molti sintomi si va manifestando, non in una sola parte d'Italia, ma dappertutto, dalle Alpi alla Sicilia. Il paese ha bisogno soprattutto di calma. Le vane agitazioni politiche non sono da lui comprese; non possono che turbarlo nel suo lento lavoro di consolidazione, e ritardare sempre più quel giorno, da tutti desiato, in cui l'Italia, diventata prospera e ricca, possa mantenere degnamente il posto che con la sua virtù politica ha saputo conquistarsi fra le nazioni. (Bene!) Possano le nostre discussioni essere tali che le popolazioni siano orgogliose di noi e ripongano in noi la più completa fiducia, sapendoci gelosi custodi degli interessi che ci hanno affidato. Possano esse esser tali da mantenere altissimo e intatto nell'animo loro il prestigio delle nostre libere istituzioni, all'infuori delle quali sarebbe vano sperare né libertà, né progresso. Il nostro Sovrano, inaugurando la Sessione, ha detto che gli italiani hanno gli occhi rivolti a noi e attendono fidenti l'opera nostra; ha soggiunto che il suo voto più caro, come Re e come Italiano, è che dall'opera nostra sia rinvigorita nel popolo la fiducia nelle istituzioni; e Voi avete coperto di applausi quelle parole che hanno trovato eco in tutti i cittadini d'Italia. Orbene, onorevoli colleghi, impegnamoci qui solennemente a secondare con tutte le nostre forze il voto del Re, e nel nome di Lui, cui mandiamo il nostro reverente saluto, accingiamoci alacremente e serenamente ai nostri lavori, bene augurando dei destini della patria. (Vivissimi e prolungati applausi). Prego gli onorevoli segretari e questori di voler prendere il loro posto al banco della Presidenza. Secondo l'articolo 7 del Regolamento mi farò un dovere di informare Sua Maestà il Re e il Senato del Regno della compiuta costituzione della Camera.

XX Legislatura del Regno d'Italia

Tornata del 3 aprile 1900

Il 31 marzo 1900 il Presidente della Camera Colombo rassegna le dimissioni a seguito dei disordini scoppiati in Aula durante la discussione della proposta di modificazioni al Regolamento della Camera, finalizzate a contrastare le manovre ostruzionistiche. Due giorni dopo, nella seduta del 2 aprile 1900, Colombo è confermato nella carica con un numero di suffragi maggiore rispetto alla precedente elezione. Riporta, infatti, 265 voti su 438 votanti. Nel prendere posto al banco della Presidenza, dichiara di non voler svolgere un discorso di insediamento, ma si limita ad esprimere la propria gratitudine all'Assemblea per «il largo suffragio» ottenuto.