Presidente. Colleghi amatissimi, chiamato una seconda volta dal vostro voto a presiedere le adunanze della Camera, ho cercato d'interrogare me stesso sui motivi che possono aver mosso la vostra benevolenza a sollevarmi a tanto e sì difficile onore; ma queste ragioni, se ne sottraete la buona volontà, non potendo trovare nell'intrinseco mio, ho dovuto rivolgere il pensiero altrove, e mi sono andato raffigurando che, nel riassumere me assieme ai colleghi dello scorso anno agli uffizi della Presidenza, voleste dimostrare che quello stesso bene del paese nostro che noi volevamo in quei tempi difficili sta sempre in cima a' vostri pensieri in questi difficilissimi, e che il culto delle savie libertà, inseparabili dal vero bene del paese, non può cancellarsi dall'animo vostro; egli è adunque che, incoraggiato dai vostri suffragi, non vorrò certo dipartirmi da quelle norme di condotta che ottennero la vostra approvazione, e che poi altro non erano che una scrupolosa osservanza del regolamento, un'imparziale valutazione dei diritti d'ognuno, un vivo desiderio del trionfo della verità. Sorretto allora dal vostro aiuto, potei non iscontentarvi in quanto eravate in diritto di aspettare da me; aiutato oggi dalla vostra già esperimentata e valida cooperazione, cercherò ancora non essere impari al vostro desiderio, e noi tutti cercheremo che questa nostra terra, che un momento la Provvidenza accennò dover essere redenzione d'Italia, sia infatti l'àncora della sua più ferma speranza (Bravo! bravo!), sia la terra donde debba nuovamente irradiare quel sole che i nugoli dell'avversità hanno un momento oscurato, ma che certamente non potrà mai venir meno. A sì santo fine, cui tutte devono tendere le nostre forze, voi alacri coopererete, e della valida e strenua opera vi terrà conto l'imparziale posterità, la quale saprà valutare il tributo che a compiere il gran desiderio avrà portato ognuno di noi. (Vivi applausi)
