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Portale storico della Camera dei deputati

Presidenti

Vincenzo Gioberti

Nasce a Torino il 5 aprile 1801
Deceduto a Parigi (Francia) il 26 ottobre 1852
Ecclesiastico

Biografia

Nasce a Torino il 5 aprile 1801. Formatosi nelle scuole dei padri oratoriani, rivela precoci interessi per la letteratura e per gli studi filosofici e teologici. Laureatosi in teologia il 9 gennaio 1823, diviene sacerdote (19 marzo 1825) e, poco dopo, è aggregato alla facoltà teologica l'11 agosto 1825. Nel gennaio 1826 è nominato cappellano di corte.
Tra gli anni '20 e '30 approfondisce la sua riflessione sui rapporti tra religione e vita sociale, suscitando sospetti presso i suoi superiori, e si avvicina ai gruppi liberali presenti in Piemonte. Il 9 maggio 1833 lascia la carica di cappellano e si avvicina ai gruppi carbonari e mazziniani. Coinvolto nella repressione della congiura mazziniana del 1833, è detenuto senza processo per alcuni mesi e poi esiliato.
Dall'ottobre del 1833 alla fine del 1834 vive a Parigi in una situazione finanziariamente assai precaria, finché non gli viene offerto di assumere l'insegnamento di storia e filosofia nel collegio fondato a Bruxelles da Pietro Gaggia (un ex sacerdote italiano convertitosi al protestantesimo). Nella più aperta atmosfera politica del Belgio, comincia a pubblicare i frutti della sua riflessione filosofica e politica, tra i quali il Primato morale e civile degli italiani (1843), che conosce un notevole successo e contribuisce alla formazione di un'opinione pubblica nazionale in Italia. Legato alla corrente del cattolicesimo liberale, Gioberti ritiene che il popolo possa promuovere un rinnovamento etico-culturale della Chiesa ed assumere la guida di un processo di unificazione su base federale dell'Italia, che valorizzi la grande tradizione storica e culturale della penisola.
Tornato a Parigi nel 1845, Gioberti guarda con crescente fiducia all'Italia, dove l'elezione di Pio IX, nel 1846, sembra aver aperto una fase di accelerazione delle riforme costituzionali, divenendo il punto di riferimento di un'opinione pubblica moderata che auspica l'unificazione della penisola nella forma di una Confederazione presieduta dal Pontefice con un forte Stato sabaudo nell'Italia padana e l'estromissione dell'Austria dal Lombardo-Veneto.
Nel contesto della prima guerra di indipendenza (marzo 1848), le tesi di Gioberti diventano concreto programma politico e l'abate piemontese affianca alla riflessione un'intensa attività politica, soprattutto in Piemonte.
Il 29 aprile 1848 rientra a Torino, accolto da entusiastiche manifestazioni, ma fatica a stabilire un buon rapporto con Carlo Alberto di Savoia, che pone il veto ad una sua nomina a ministro nel Governo Balbo, il primo governo costituzionale del Piemonte. Vincitore in due collegi per la Camera subalpina, Gioberti è eletto per acclamazione Presidente della Camera nel maggio del 1848, ma assume le sue funzioni solo alla fine del successivo luglio, dopo un lungo viaggio nell'Italia centro-settentrionale, durante il quale è più volte ricevuto da Pio IX ed incontra Mazzini ed altri esponenti delle forze patriottiche. Il 29 luglio, poco dopo la sconfitta di Custoza, è nominato Ministro senza portafoglio e poi Ministro della pubblica istruzione nel Governo Casati. In questo frangente si schiera decisamente per una prosecuzione ad oltranza della guerra all'Austria e, per questo motivo, si oppone con forza al nuovo Governo di Cesare Alfieri di Sostegno (ottobre-dicembre 1848), imputandogli il disinteresse per le sorti degli altri Stati italiani.
Rieletto alla Camera nella tornata suppletiva del 30 settembre, è confermato alla Presidenza dell'Assemblea il 18 ottobre 1848. La nuova elezione di Gioberti segna una forte affermazione delle forze democratiche e di sinistra, favorevoli ad una ripresa della guerra all'Austria e critiche nei confronti dei Governi moderati di Cesare Alfieri di Sostegno e, poi, di Ettore Perrone di San Martino. Nella sua breve Presidenza, Gioberti promuove l'introduzione di alcune norme relative al contegno del pubblico nelle tribune, ma, soprattutto, rimane fortemente impegnato nell'attività politica, al punto da sottoscrivere una petizione per la pronta convocazione di un'Assemblea costituente col mandato di stabilire una confederazione italiana.
Così, alle dimissioni del Governo Perrone (dicembre 1848), è chiamato a presiedere un nuovo Governo, nel quale assume anche il Dicastero degli esteri, lasciando definitivamente la Presidenza della Camera. La sua azione di governo si caratterizza in senso fortemente unitario e si fonda sul rilancio della guerra contro l'Austria e sul tentativo di favorire l'evoluzione liberale degli altri Stati italiani e la loro adesione ad una Costituente nazionale federativa. Allo scopo di rafforzare la sua maggioranza, alla fine di dicembre 1848 ottiene da Carlo Alberto lo scioglimento della Camera. Le elezioni del gennaio 1849 segnano però, accanto ad un suo rilevante successo personale - è eletto in dieci collegi - uno spostamento a sinistra degli equilibri parlamentari. Nel difficile contesto dei primi mesi del 1849, Gioberti cerca di promuovere un intervento armato in Toscana, allo scopo di riportare sul trono il granduca Leopoldo II, salvaguardando nel contempo l'ordinamento costituzionale toscano, ma questo difficile progetto suscita l'opposizione della maggioranza parlamentare e provoca la crisi del Governo. Il 21 febbraio le sue dimissioni da Presidente del Consiglio sono accolte.
Profondamente deluso dall'evoluzione della politica piemontese e dal fallimento della guerra d'indipendenza nazionale, dopo l'abdicazione di Carlo Alberto e l'ascesa al trono di Vittorio Emanuele II, Gioberti accetta nuovamente di entrare come Ministro senza portafoglio nel nuovo gabinetto presieduto da Gabriele De Launay, nonostante il solco profondo che lo divide dal primo ministro e dai suoi orientamenti conservatori, e di assumere l'incarico di inviato straordinario del Regno sardo a Parigi.
La posizione del Gioberti diventa politicamente sempre più debole. La sua riflessione intellettuale prosegue nondimeno con alacrità, e Gioberti continua a pubblicare numerosi scritti, tra i quali il Rinnovamento civile d'Italia (1851), nonostante una prima condanna della congregazione dell'Indice (1849) e la successiva messa all'indice di tutte le sue opere, in qualunque lingua pubblicate (1852). Ormai isolato, muore improvvisamente a Parigi il 26 ottobre 1852.