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Portale storico della Camera dei deputati

Presidenti

Giovanni Gronchi

Nasce a Pontedera (Pisa) il 10 settembre 1887
Deceduto il 17 ottobre 1978
Laurea in lettere; industriale, insegnante.

Biografia

Nasce a Pontedera, in provincia di Pisa, il 10 ottobre 1887. Vive un'infanzia e una giovinezza difficili a causa delle disagiate condizioni economiche della sua famiglia e per mantenersi agli studi è costretto a impartire lezioni private. Conseguita la licenza liceale è ammesso alla classe di lettere della Regia Scuola Normale Superiore di Pisa, dove si laurea nel 1909.
Si dedica inizialmente all'insegnamento prima a Parma, poi a Massa e a Bergamo e, infine, a Monza.
Frequenta sin da giovanissimo gli ambienti cattolici e nel 1902 entra a far parte del movimento democratico cristiano di Romolo Murri, aderendo a principi ai quali si manterrà fedele in tutto il suo percorso politico: l'autonomia politica dei cattolici nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche e l'adesione a un cristianesimo sociale.
Allo scoppio della prima guerra mondiale è tra gli interventisti e parte volontario, rinunciando al possibile esonero in quanto orfano. Durante il conflitto si distingue per numerosi atti di valore, per i quali sarà decorato.
Alla fine della guerra partecipa alla fondazione del Partito popolare italiano ed entra nella direzione del partito stesso. Nelle elezioni politiche del 1919 è eletto deputato nella circoscrizione di Pisa. In Parlamento risultano immediatamente evidenti le sue brillanti qualità oratorie e la sua incisività nel porgere le questioni. Si guadagna la stima e l'apprezzamento di Luigi Sturzo e diventa una delle figure di maggior spicco del Partito popolare.
Per la costante attenzione dedicata ai problemi sociali e del lavoro, nel 1920 è eletto segretario generale della Confederazione italiana dei lavoratori.
Durante gli anni della crisi dello Stato liberale interviene più volte a Montecitorio contro le violenze fasciste e il 16 febbraio 1922 denuncia in Aula la passività del Governo, guidato da Luigi Facta, nella repressione del fenomeno squadrista. Il 19 luglio dello stesso anno, nel motivare la sfiducia del suo partito al Governo, Gronchi chiarisce che il Partito popolare non aveva auspicato una repressione violenta del fascismo, ma un'azione «metodica, misurata, organica», per «ricondurre tutti nell'orbita della legalità».
Accetta l'incarico di sottosegretario all'industria e commercio nel Governo presieduto da Mussolini nell'ottobre del 1922, ma solo qualche mese più tardi, al IV congresso del Partito popolare a Torino, si schiera a fianco di Sturzo per l'immediata uscita dal Governo. Pochi giorni dopo è lo stesso Mussolini a dimissionare i membri del Governo provenienti dalle fila del Partito popolare. Quando nel luglio dello stesso anno Sturzo è costretto a lasciare la segreteria del PPI, Gronchi fa parte insieme a Spataro e a Rodinò del triumvirato che reggerà il partito fino all'elezione di Alcide De Gasperi a nuovo segretario politico, nel maggio 1924.
In Parlamento Gronchi affronta apertamente la maggioranza fascista, interviene contro la riforma elettorale Acerbo e, dopo le elezioni del 1924, in cui è confermato deputato, denuncia le intimidazioni fasciste nel corso delle consultazioni e partecipa alla secessione aventiniana, all'indomani dell'assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti.
Nel febbraio del 1926 torna all'impegno sindacale affiancando Achille Grandi e Giuseppe Rapelli nella guida della Confederazione italiana dei lavoratori.
Nel novembre del 1926 è dichiarato decaduto dal mandato parlamentare insieme agli altri deputati aventiniani. Privato anche della cattedra di insegnamento, Gronchi abbandona la politica e si trasferisce a Milano, dove avvia un'attività industriale e commerciale. Mantiene i contatti con un ristretto gruppo di amici tra i quali Grandi e Rapelli, mentre respinge con fermezza le richieste di collaborazione offerte dal fascismo.
Subito dopo l'entrata in guerra dell'Italia, riannoda in clandestinità i contatti con i popolari e collabora alla nascita della Democrazia cristiana, concorrendo in particolare a definirne gli indirizzi programmatici in campo sociale e sindacale. Dopo l'8 settembre 1943 si trasferisce a Roma e diventa membro del Comitato di liberazione nazionale.
Si batte insieme ad Achille Grandi per valorizzare la presenza dei cattolici nel sindacato e, insieme ai principali esponenti del sindacalismo italiano, partecipa al dialogo unitario che culmina, il 3 giugno 1944, poche ore prima della liberazione della capitale da parte degli Alleati, nella firma del Patto di Roma. A Gronchi è affidata la presidenza del Comitato d'intesa sindacale, organismo di collegamento della corrente sindacale cattolica.
Nel I Governo Bonomi è nominato Ministro dell'industria, commercio e lavoro, carica che ricopre anche nei successivi Governi Bonomi, Parri e nel I Governo De Gasperi.
Al I congresso della Democrazia cristiana dell'aprile del 1946 presenta la mozione "Politica sociale", in cui esprime una posizione nettamente favorevole alla Repubblica e auspica una maggiore competitività nei confronti del Partito comunista.
Il 2 giugno 1946 è eletto deputato all'Assemblea costituente, si dimette dal Governo e assume la carica di presidente del gruppo dei deputati democristiani.
Il lavoro di coordinamento del gruppo si rivela un'attività impegnativa, alla quale Gronchi si dedica con grande energia. Partecipa intensamente all'attività del partito, collocandosi nell'ala di sinistra della DC, che per la sua vocazione interclassista deve, secondo Gronchi, perseguire un equilibrio dinamico tra i vari interessi di parte, indirizzandoli al bene comune. Auspica la rottura con i comunisti, di cui critica la visione puramente classista, e al contempo rimprovera ai liberali la mancanza di sensibilità sociale nell'analisi dei fatti.
Alle elezioni per il primo Parlamento repubblicano del 18 aprile 1948 Gronchi, capolista nel collegio di Pisa-Livorno-Lucca-Massa Carrara, è eletto alla Camera dei deputati. L'Assemblea di Montecitorio - nella seduta inaugurale della I legislatura (8 maggio 1948) -, lo elegge Presidente della Camera, carica che riveste dimostrando grande conoscenza del Regolamento e assicurando inflessibile equilibrio nella conduzione dei lavori parlamentari.
Tali doti risultano particolarmente evidenti in occasione dei dibattiti, che impegnano l'Assemblea nel corso della I legislatura, come l'adesione dell'Italia al Patto atlantico nel 1949 e l'introduzione del premio di maggioranza alla legge per l'elezione della Camera dei deputati nel 1953.
In quegli anni assume una posizione piuttosto critica all'interno del partito, sia rispetto alla tendenza conservatrice in campo sociale, troppo sensibile agli interessi degli agrari e degli industriali, sia rispetto agli orientamenti in materia di politica estera. Contrario alla divisione del mondo in due blocchi militari contrapposti, Gronchi auspica che l'Europa divenga un'area di distensione e di equilibrio.
Rieletto alla Camera nel 1953, nella seduta del 25 giugno è riconfermato nella carica di Presidente della Camera.
Nonostante le ripetute prese di distanza dalle direttive dei vertici del partito, Gronchi ne rispetta le decisioni e al V congresso della DC a Napoli, nel 1954, pur in dissenso con i nuovi equilibri interni che vedono Amintore Fanfani segretario e Mario Scelba Presidente del Consiglio, rinuncia a presentare una propria lista per il consiglio nazionale.
In occasione del decimo anniversario della Liberazione pronuncia in Aula, il 22 aprile 1955, un discorso di altissimo livello civile e politico e per acclamazione si decide di affiggerne il testo negli albi di tutti i comuni d'Italia.
Alla scadenza del mandato di Luigi Einaudi la Democrazia cristiana sceglie come candidato ufficiale alla Presidenza della Repubblica Cesare Merzagora, ma la minoranza del partito e le sinistre appoggiano la candidatura di Gronchi, che il 29 aprile 1955, al quarto scrutinio, è eletto Presidente della Repubblica, con 658 voti su 833 votanti.
Gronchi rivendica innanzitutto un ruolo autonomo e incisivo al Capo dello Stato. In occasione del giuramento sollecita le forze politiche a dare attuazione alla Costituzione, provvedendo all'istituzione della Corte costituzionale, del Consiglio superiore della magistratura, del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e delle Regioni.
L'alternativa alla crisi della formula centrista va ricercata, secondo il Capo dello Stato, nell'apertura ai socialisti, ma la dirigenza della DC agisce con cautela e le forzature di Gronchi, come nel caso del Governo guidato da Tambroni nel 1960, finiscono per alienargli il consenso delle opposizioni di sinistra, che fino a quel momento avevano mostrato apprezzamento per la linea del Presidente.
In politica estera sviluppa una propria iniziativa, che lo porta spesso a distinguersi da quella del Governo. Compie numerosi viaggi ufficiali all'estero; sostiene la necessità di sviluppare una politica autonoma dell'Italia nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, anche a fini di approvvigionamento energetico e si dichiara favorevole al disarmo bilanciato delle due superpotenze.
Al termine del mandato presidenziale si iscrive, in qualità di senatore a vita, al gruppo misto, ma si allontana quasi del tutto dalla vita politica. Nel 1977 in occasione dei suoi 90 anni, è acclamato membro di diritto del Consiglio nazionale della Democrazia cristiana.
Muore a Roma il 17 ottobre 1978.