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Portale storico della Camera dei deputati

Presidenti

Luciano Violante

XIII Legislatura della Repubblica italiana

Seduta del 9 maggio 1996, continuata nella giornata del 10 maggio

Presidente. (Pronunzia, stando in piedi, il seguente discorso). Onorevoli colleghi! Accolgo con comprensibile emozione il risultato del voto. Ringrazio i deputati che hanno ritenuto di dare il proprio consenso e ringrazio coloro che, per legittime ragioni politiche, hanno ritenuto di negarlo. Assolverò a questo mandato nel pieno ed intransigente rispetto della Costituzione e del regolamento, confidando nella collaborazione di tutti. Sarò il Presidente di tutta la Camera, della maggioranza e dell'opposizione. Rispetterò i diritti dei gruppi parlamentari e quelli dei singoli deputati, ma se in qualche caso i due diritti fossero in conflitto non esiterei, se il regolamento lo consente, a far prevalere, secondo i princìpi del sistema maggioritario, i diritti del singolo parlamentare rispetto a quelli del gruppo. Nel lavoro quotidiano mi sforzerò di garantire tanto il diritto-dovere di governare, quanto quello di opporsi. La mia non breve vita parlamentare mi ha insegnato che fare politica significa prima di ogni altra cosa sforzarsi di capire le ragioni degli altri. In questo momento il pensiero va al popolo italiano, che ha dato a noi la sua fiducia e nei confronti del quale abbiamo alti doveri e gravi responsabilità. Va agli uomini e alle donne uccisi dal terrorismo e dalla mafia, caduti per la nostra libertà e per i nostri diritti (Vivi, generali applausi). Va al Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scàlfaro, arbitro imparziale (Applausi - Commenti), garante degli equilibri costituzionali, che nei momenti più difficili ha costituito per tutto il paese un orientamento fermo e sereno. Va al Pontefice (Vivi, generali applausi), guida spirituale per la grande maggioranza degli italiani, che ieri ha rivolto una sua riflessione proprio al Parlamento ed ai nuovi eletti. Va al Presidente del Senato (Applausi) eletto ieri, nella consapevolezza che sarà possibile con l'altro ramo del Parlamento una collaborazione intensa e proficua. Va agli insegnanti (Vivi, generali applausi), che nelle scuole italiane, dalle elementari all'università, in condizioni precarie, con retribuzioni non adeguate, spesso trascurati e misconosciuti, adempiono con sacrificio e competenza alla fondamentale funzione della trasmissione del sapere, della formazione delle coscienze civili. Va alle ragazze ed ai ragazzi che in quelle scuole studiano e costruiscono il loro ed il nostro futuro (Vivi, generali applausi). Ma il futuro sarà davvero migliore solo se investiremo di più e meglio nella scuola, se considereremo la formazione come un dovere dello Stato nei confronti dei cittadini e come la condizione indispensabile per lo sviluppo del paese. Alcuni fondamentali problemi, dal lavoro alla competizione internazionale, possono essere affrontati positivamente solo se la formazione delle giovani generazioni costituirà una delle nostre principali preoccupazioni. La mia gratitudine di deputato va, infine, a chi mi ha immediatamente preceduto in questa responsabilità: a Nilde Iotti (Vivi applausi), severa ed impareggiabile conduttrice dei nostri lavori; a Giorgio Napolitano (Vivi applausi), alla cui efficienza ed al cui equilibrio dobbiamo una legislatura particolarmente densa di risultati; ad Irene Pivetti (Vivi applausi), giovane e determinato Presidente, che ho avuto l'occasione di salutare nel corso della seduta di ieri. Siamo una Repubblica parlamentare ed il Parlamento costituisce il cuore del sistema politico. Tuttavia sentiamo l'urgenza di riformare le nostre regole fondamentali, le nostre procedure, il modo stesso di intendere la vita ed il funzionamento dell'Assemblea. Ogni ora del nostro lavoro, colleghi, rappresenta per la collettività un costo economico rilevante. Abbiamo chiesto agli italiani molti sacrifici; perderemmo la legittimazione a guidarne la vita politica se non riuscissimo ad utilizzare al meglio le nostre risorse, le nostre intelligenze, il nostro tempo. Certo: il Parlamento non è solo il luogo della decisione, è anche il luogo del confronto delle idee, della formazione dei convincimenti. Ma c'è il rischio che il problema delle decisioni sia completamente trascurato, che il dibattito diventi fine a se stesso, che gli interessi degli italiani, le aspettative, la speranza e la fiducia che essi hanno riposto in noi non abbiano soluzioni efficaci. Insieme troveremo il giusto equilibrio tra confronto delle idee e decisione politica, nella consapevolezza che un Parlamento che non riuscisse a decidere segnerebbe la propria sconfitta e quella della democrazia. L'integrazione europea, obiettivo ineludibile per qualsiasi moderno paese di questo continente, richiede ai Parlamenti capacità di analisi e rapidità di decisione. Sono incandescenti molti problemi: la questione settentrionale, la questione meridionale, il ruolo dei comuni, gli oneri fiscali, la carenza dei servizi pubblici ed il sistema giudiziario. Problemi apparentemente diversi, ma che si riconducono tutti ad una questione di fondo: lo Stato, purtroppo, salve rare eccezioni, non funziona in modo adeguato, non dà servizi, non è amico, non aiuta a vivere, ma rende anzi la vita quotidiana più difficile e più faticosa. Le 150 mila leggi sono diventate un onere insopportabile per i cittadini, per le imprese, per la stessa pubblica amministrazione, tutti schiacciati da valanghe di regole, disposizioni, indirizzi confusi e contraddittori. C'è un'inflazione legislativa alla quale corrisponde, per ragioni assolutamente oggettive, un'inflazione giudiziaria. L'una e l'altra possono provocare gravi distorsioni nella vita democratica. Le società moderne sono ipergiuridicizzate e la democrazia parlamentare rischia di perdere una parte della sua tradizionale forza di orientamento. È inutile gridare allo scandalo. La politica non deve gridare; la politica deve risolvere. Il numero delle leggi va drasticamente ridotto; la loro chiarezza va perseguita come obiettivo primario di un moderno Parlamento. La legge non chiara è il presupposto di arbitrii, lascia il cittadino solo davanti alla pubblica amministrazione o davanti al suo contraddittore più forte o più furbo. La confusione delle leggi è uno dei presupposti della corruzione. Il Parlamento deve legiferare meno e meglio e dare più spazio invece alle azioni di controllo e di indirizzo. Insieme, avvalendoci anche della straordinaria competenza professionale dei nostri uffici, avvieremo un itinerario che possa condurci ad un controllo più efficace e ad una legislazione più semplice e più chiara, che non sia solo il punto di mediazione tra le diverse parti politiche, ma che esprima regole razionali, utili e comprensibili. La grande maggioranza delle donne e degli uomini che lavorano negli apparati pubblici svolgono le loro funzioni con sacrificio e serietà. Tuttavia non possiamo negare che esiste nel nostro paese, come accennavo poc'anzi, il problema dello Stato, della sua forma, della sua organizzazione, del modo in cui il potere pubblico si rapporta al cittadino. Alcuni, che si considerano legittimamente rappresentanti della parte economicamente più forte del paese, parlano di secessione. Invito a non considerare questi richiami come forme di folklore politico. C'è un malessere vero nel nord, determinato dalla differenza tra prelievo fiscale e qualità dei servizi, ma c'è un malessere vero anche nel sud, dove, per la prima volta dopo molti decenni, è ricominciato ad apparire lo spettro della povertà e persino della fame (Generali applausi). Ci sono in molte aree del Mezzogiorno famiglie che non riescono a provvedere in alcun modo al loro sostentamento quotidiano. C'è un pezzo di Italia che viaggia in jet ed un altro che si sposta su zattere. La risposta non sono le secessioni. Non esiste un diritto alla secessione (Vivissimi, prolungati applausi - Molti deputati si levano in piedi). E chiunque intendesse perseguirla troverà in quest'aula e in questo seggio un impedimento assolutamente determinato (Applausi). Lo Stato democratico ha tutti i mezzi, a cominciare dal consenso politico sino all'uso legittimo della forza, per impedire la propria soppressione. Ma non sarà necessario. Le diverse parti d'Italia hanno bisogno l'una dell'altra. Basti pensare che il diverso incremento demografico tra il nord ed il sud metterebbe il primo, entro breve tempo, nella impossibilità di pagare le pensioni ai suoi abitanti. La secessione è la risposta sbagliata ad un problema giusto. Troppi lutti è costata la nostra indipendenza e la nostra unità, troppe vite sono state spezzate in guerre feroci, sotto le torture di aggressori violenti, nei campi di sterminio, troppo grande è la quotidiana difficoltà di vivere onestamente in questo Stato, difficoltà che affrontano serenamente decine di milioni di italiani, perché si possa con spirito imbelle assistere a proclami inconciliabili con il senso di responsabilità nazionale. Il Parlamento non è solo il luogo della legislazione e del controllo sul Governo. Il Parlamento è il custode della memoria e della storia delle nazioni. Nella nostra memoria e nella nostra storia c'è un faticoso e continuo processo di conquista di indipendenza e di unità. Noi non lo interromperemo (Vivi applausi). Lo dico con fermezza, ma con rispetto per tutti i colleghi. La chiave di volta sta nella costruzione di un federalismo solidale, in una formidabile valorizzazione dei comuni, che per precise ragioni storiche sono la pietra angolare del nostro sistema costituzionale, nella funzionalità quotidiana del potere pubblico, di tutto il potere pubblico. Qui si apre un'altra delicata questione. In molte parti del paese, specie nel Mezzogiorno, non funziona la sanità, non funziona la scuola, non funziona la pubblica amministrazione e funziona solo la giustizia penale. In questi casi il servizio giustizia viene colto dal cittadino non come garanzia dei diritti, ma, purtroppo, come pura oppressione. La responsabilità non è certamente della magistratura, né delle forze di polizia, alle quali va il nostro rispettoso saluto e la nostra gratitudine (Applausi). La responsabilità è di chi ha il compito di dirigere complessivamente lo Stato, quindi, è anche nostra. La legalità non può essere solo quella giudiziaria; deve riguardare anche alcuni servizi essenziali, altrimenti può generare temibili controspinte nelle quali si saldano la disperazione del cittadino esasperato e gli interessi del grande crimine organizzato. Va affrontato con decisione il problema della giustizia. I processi sono troppo lunghi, c'è troppe volte un improprio connubio tra giustizia e mezzi di informazione, c'è sui magistrati un carico eccessivo di aspettative e di responsabilità. Ci sono soluzioni tecniche che studieranno i tecnici. Ma c'è una prioritaria questione generale: la politica, e le sue istituzioni, come in tutte le democrazie, anche in Italia, deve ricollocare se stessa al centro del sistema, ricollocando così tutte le altre istituzioni nel posto che loro compete in base alla nostra Costituzione e alle nostre leggi (Applausi). Al centro del sistema non si ritorna con atti di imperio. Si ritorna svolgendo con dignità e senso di responsabilità le proprie funzioni, abbandonando la pratica del dileggio nei confronti dei rappresentanti delle altre istituzioni ed isolando chi la svolge, guadagnando autorevolezza dinanzi all'opinione pubblica. Dinanzi all'opinione pubblica internazionale l'Italia ha guadagnato consenso ed ammirazione per la sua capacità di rispondere con straordinaria efficienza all'attacco delle organizzazioni mafiose. Bisogna andare avanti per questa strada, sostenendo coloro che rischiano la vita per i diritti di tutti, usando razionalmente le risorse esistenti, assicurando la rapida e garantita celebrazione dei processi, assicurando il sequestro, la confisca e la successiva utilizzazione sociale delle straordinarie ricchezze di quelle organizzazioni. La mafia in molte aree del sud è fonte di miseria, impedimento allo sviluppo, sospensione della democrazia e delle regole di mercato. La nostra generazione ha il dovere di liberare il paese da questo condizionamento (Generali applausi). Dobbiamo sforzarci di costruire uno Stato efficiente, garantista ed autorevole. A differenza di altri importanti paesi europei, non abbiamo ancora valori nazionali comunemente condivisi. Le due grandi vicende della storia nazionale, il Risorgimento e la Resistenza, hanno coinvolto solo una parte del paese e solo una parte delle forze politiche. Quelle che ne sono uscite sconfitte, ma anche settori di quelle vincitrici, tanto a metà dell'Ottocento, quanto, un secolo dopo, a metà del Novecento, hanno potuto, per ragioni diverse, frenare la portata innovativa e nazionale di quegli eventi. Oggi del Risorgimento prevale un'immagine oleografica e denudata dei valori profondi che lo ispirarono. La Resistenza e la lotta di liberazione corrono lo stesso rischio e, per di più, non appartengono ancora alla memoria collettiva dell'Italia repubblicana. Mi chiedo, colleghi, me lo chiedo umilmente, in che modo quella parte d'Italia che in quei valori crede e che quei valori vuole custodire e potenziare nel loro aspetto universale di lotta alla tirannide e di emancipazione dei popoli, non come proprietà esclusiva, sia pure nobile, della sua cultura civile o della sua parte politica, mi chiedo - dicevo - cosa debba fare quest'Italia perché la lotta di liberazione dal nazifascismo diventi davvero un valore nazionale e generale, e perché si possa quindi uscire positivamente dalle lacerazioni di ieri. Mi chiedo se l'Italia di oggi - e quindi noi tutti - non debba cominciare a riflettere sui vinti di ieri; non perché avessero ragione o perché bisogna sposare, per convenienze non ben decifrabili, una sorta di inaccettabile parificazione tra le parti, bensì perché occorre sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e delle libertà (Applausi). Questo sforzo, a distanza di mezzo secolo, aiuterebbe a cogliere la complessità del nostro paese, a costruire la liberazione come valore di tutti gli italiani, a determinare i confini di un sistema politico nel quale ci si riconosce per il semplice e fondamentale fatto di vivere in questo paese, di battersi per il suo futuro, di amarlo, di volerlo più prospero e più sereno. Dopo, poi, all'interno di quel sistema comunemente condiviso, potranno esservi tutte le legittime distinzioni e contrapposizioni. Onorevoli colleghi, nel concludere voglio esprimere gratitudine a tutti coloro che lavorano nell'amministrazione della Camera dei deputati, a partire dal Segretario generale. Voglio inoltre augurare buon lavoro a tutti voi e soprattutto a chi per la prima volta ha varcato la soglia di quest'aula. Se mi permettete, intendo esprimere un rammarico: in quest'aula vi è un numero di donne assolutamente inadeguato ad esprimere la ricchezza... (Applausi), la complessità, la forza del mondo delle donne italiane, e non certo per responsabilità degli elettori. Sarà in ogni caso mio impegno, per quanto mi compete, valorizzare al massimo il ruolo e la competenza delle donne elette alla Camera, affinché tutto il paese abbia a trarne beneficio. Vi ringrazio, colleghi, e vi auguro un lavoro sereno e proficuo nel superiore interesse dell'Italia (Generali, vivissimi, prolungati applausi).