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Portale storico della Camera dei deputati

Presidenti

Sebastiano Tecchio

VIII Legislatura del Regno d'Italia

Tornata del 26 marzo 1862

Presidente. Signori, i vostri suffragi mi hanno chiamato a tal seggio che ogni libero popolo ebbe sempre, e sopra tutti, nobilissimo. Non vorrei essere unaninamente diseguale all'ufficio che mi conferiste. Ho io necessità di venirvi dicendo di quanto crescesse ai miei occhi il pregio dell'altissimo onore, cui mi veggo assunto, doverne il merito a un pietoso ricordo del vostro cuore (Bravo!), quantunque per lunga malattia avessi intralasciate le care consuetudini che m'avvinsero ognora al consorzio vostro e ai vostri lavori? (Bene) Quando considero che qui si raccoglie tanta e sì eletta parte del senno italiano; che dalle urne elettorali al nostro Parlamento fu inviato chiunque avea saputo rinnovare nelle discipline tutte o della pace o della guerra l'antichissimo splendore d'Italia, o ritornare fra noi gli esempi della prisca fortezza, resistendo alle ire delle tirannidi domestiche e forestiere; che quinci amplissimo si apriva il campo alla vostra libera scelta; io non so come a voi affacciasse il mio nome, se non per ciò ch'ei vi rammenta un veterano tra i molti che in terra italiana pregano tuttavia sull'altare dell'esilio. (Applausi) Se voi dunque presceglieste un proscritto (Con calore), io vi ringrazio a nome dell'alma Roma e dell'antica Regina dei mari (Bene!), che reggono con indomata costanza agli strazi quotidiani del servaggio straniero e teocratico (Vivi segni di approvazione): certo non meno auguste oggi entrambe per la dignità nel patire, che già non siano state precorrendo nella civiltà o il mondo pagano o la cristianità dell'evo medio. (Bene!) Sì: io tengo il vostro voto, e confido che tutti al di là pure di questo recinto lo tengano per una nuova affermazione che l'Italia vuol essere una e indivisibile. (Vivi segni d'approvazione) E penso che voi, colla elezione di chi nacque in provincia non ancora riunita al regno, abbiate inteso di rinvigorire il patto solennissimo del plebiscito, e dimostrare come ei sia stato non già l'entusiasmo di un giorno, ma sì propriamente una risoluzione di sublime prudenza e di prepotente volontà nazionale. (Applausi) Mandoj-Albanese. Sì! Presidente. In verità: quel plebiscito, onorevoli colleghi, che altro fu esso mai salvoché una più esplicita formula del giuramento (che ognuno di noi entrando in questa Camera ha prestato) di propugnare il bene insperabile del Re e della patria! (Bene!) Il bene della patria non si rinviene fuori della sua unità: né dal concetto della Italia ringenerata si può distaccare il nome di Vittorio Emanuele che ne è l'Eletto. (Applausi) In sì grande commozione d'animo, inchinandomi io al vostro voto, indovinaste bene come andrei sotto del vero se mi provassi a ritrarvi in parole la mia gratitudine. Ripigliamo senza più i nostri lavori. Gittiamo con buone leggi la base del sommo edifizio. E a cui non creda nell'Italia, che è nostra, replicheremo ciò che altri disse della francese repubblica del secolo passato: «Il regno d'Italia è come il sole: cieco chi non lo vede.» (Applausi generali e prolungati)