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Presidenti

Umberto Terracini

Nasce a Genova il 27 luglio 1895
Deceduto il 6 dicembre 1983

Biografia

Nasce a Genova il 27 luglio 1895 e compie i suoi studi a Torino, dove la famiglia si era trasferita nel 1899.
Inizia l'attività politica aderendo, nel 1911, alla Federazione giovanile socialista e nel 1913 si iscrive alla facoltà di giurisprudenza, dove conosce Palmiro Togliatti. L'anno dopo, insieme ad Angelo Tasca e Antonio Gramsci, è tra i promotori dell'iniziativa di affidare a Salvemini la candidatura socialista alle elezioni suppletive di Torino, per dare una rappresentanza in Parlamento ai lavoratori pugliesi. Nel 1914, dopo aver pronunciato un'appassionata requisitoria contro la guerra, diventa segretario della sezione torinese della Federazione giovanile socialista. Arrestato nel 1916 per propaganda antimilitarista, Terracini sconta alcuni mesi di reclusione.
Successivamente viene chiamato alle armi e, dopo la mancata nomina ad ufficiale, a causa dei suoi precedenti politici, è inviato al fronte in zona di operazioni.
Alla fine della guerra riprende gli studi e consegue la laurea nel 1919.
Riprende anche i contatti con Gramsci, Togliatti e Tasca, insieme ai quali fonda L'Ordine nuovo, rassegna di cultura socialista, diventata, con l'appoggio dello stesso Terracini, organo dei consigli di fabbrica. Direttore del settimanale socialista Falce e martello e collaboratore dell'Avanti!, Terracini è tra i protagonisti nell'organizzazione delle lotte del proletariato torinese negli anni 1919-'20.
Nel settembre 1920 chiede alla direzione del partito di rompere con i riformisti, colpevoli di non aver sostenuto adeguatamente le lotte degli operai torinesi ed è tra i firmatari del programma-manifesto della componente comunista dello stesso anno. Nel 1921 partecipa attivamente ai lavori del Congresso socialista di Livorno e firma con Amadeo Bordiga la piattaforma programmatica della frazione costitutiva del Partito comunista.
Dal giugno al luglio 1921 è a Mosca per la prima volta, per partecipare al III congresso dell'Internazionale comunista, al termine del quale è eletto membro dell'esecutivo. Nel febbraio 1922 torna nuovamente a Mosca e ribadisce il rifiuto del Partito comunista italiano della politica di riavvicinamento ai partiti socialdemocratici, caldeggiata dall'Internazionale comunista.
Al momento della marcia su Roma è uno dei pochi dirigenti comunisti presenti in Italia. Insieme a Ruggero Grieco regge la direzione del partito e riorganizza clandestinamente la segreteria a Milano.
Nell'agosto 1923 si trasferisce a Mosca, dove partecipa attivamente al dibattito che porterà all'affermazione del nuovo gruppo dirigente del partito, intorno ad Antonio Gramsci.
Tornato in Italia viene arrestato ad Agrigento nel dicembre del 1924, è liberato dopo pochi giorni e nuovamente catturato a Milano nell'agosto 1925. Sconta circa sei mesi di carcere, durante i quali, in vista del III congresso, compie un'analisi critica della linea di rigido isolamento espressa dal partito, che lo porta ad aderire alla piattaforma di Gramsci.
Nel settembre 1926 è nuovamente arrestato per reati attinenti al sovvertimento delle istituzioni statali. Dopo l'approvazione delle leggi eccezionali del novembre dello stesso anno, la posizione processuale di Terracini si aggrava, in quanto concordemente indicato dagli inquirenti come uno dei capi più autorevoli del Partito comunista.
Nel processo davanti al Tribunale speciale che lo vede imputato, insieme al vertice del Partito comunista, dal 28 maggio al 4 giugno 1928, Terracini, pur consapevole degli esigui spazi riservati alla difesa, si batte sul terreno giuridico con estrema energia e nell'udienza del 4 giugno pronuncia una dichiarazione politica a nome di tutti gli imputati. A Terracini tocca la condanna più pesante, superiore a quella dello stesso Gramsci: ventidue anni, nove mesi e cinque giorni di reclusione.
Sconta il primo periodo di segregazione a Santo Stefano e, dopo una mobilitazione internazionale che denuncia le sue gravi condizioni di salute, è condotto all'ospedale carcerario di Firenze. In seguito è trasferito a San Gimignano, poi a Castelfranco Emilia e infine a Civitavecchia, dove resta fino al 1937. Nonostante il rigido regime carcerario riesce a mantenere i contatti con il partito. Si trova in dissenso sempre più netto con gli altri dirigenti comunisti in carcere tra i quali Scoccimarro, Secchia, Li Causi e Roveda; anche il confronto con il direttivo, guidato da Togliatti, vede momenti di scontro piuttosto aspri, soprattutto nell'ultimo periodo di prigionia.
Manifesta apertamente il proprio dissenso rispetto alle previsioni politiche formulate dalla maggioranza del partito in linea con le tesi del Comintern, rifiutando l'identificazione della socialdemocrazia col fascismo.
Nel febbraio 1937 beneficia del decreto di amnistia e indulto ed è scarcerato, ma immediatamente inviato al confino a Ponza. Allo scoppio della guerra i confinati politici vengono trasferiti a Ventotene. In questa fase, Terracini sostiene che il nemico da battere è il nazismo e che la vittoria delle forze franco-inglesi avrebbe comunque permesso alla classe operaia, ripristinate le più elementari garanzie democratiche, di riorganizzarsi per il raggiungimento di nuovi traguardi.
Nella primavera 1942 una risoluzione del partito condanna le posizioni di Terracini e nel gennaio 1943 il direttivo ne delibera l'espulsione. Terracini si oppone alla decisione presa nei suoi confronti con un lungo e argomentato ricorso, che non trova risposta.
Nell'agosto 1943, con lo scioglimento della colonia di confino, Terracini ritorna in libertà e, privato dell'appoggio del partito, è costretto a riparare in un campo profughi in Svizzera. Prova ripetutamente a ristabilire i contatti con i centri dirigenti del PCI ed in particolare con Togliatti, senza riuscirvi. Deciso a portare il proprio contributo alla lotta in corso, passa clandestinamente la frontiera e si unisce alle formazioni partigiane che occupano l'Ossola.
Nel dicembre 1944 gli viene comunicata la sua riammissione nel partito e nell'aprile 1945 la segreteria lo invita a raggiungere Roma.
Con decreto luogotenenziale del 22 settembre 1945 è nominato membro della Consulta nazionale e più tardi membro dell'Alta Corte di giustizia.
Il 2 giugno 1946 è eletto deputato all'Assemblea costituente, dove ricopre la carica di Vicepresidente dell'Assemblea fino all'8 febbraio 1947, nonché quella di vicepresidente della Commissione per la Costituzione e di presidente della II Sottocommissione sull'organizzazione costituzionale dello Stato. Particolarmente significativo è il suo contributo al comitato di redazione o comitato dei 18, incaricato di coordinare i vari testi proposti dalle sottocommissioni.
A seguito delle dimissioni di Giuseppe Saragat, l'8 febbraio 1947 è eletto Presidente dell'Assemblea costituente. Nonostante le crescenti difficoltà dovute all'evolversi della situazione politica dopo la primavera 1947, Terracini riesce a guidare i lavori in modo fermo, attento ed imparziale, garantendo a tutti il diritto di concorrere alla redazione della Carta costituzionale, che reca la sua firma. Nel discorso di commiato del 22 dicembre 1947 il decano dell'Assemblea Vittorio Emanuele Orlando, oltre all'imparzialità e alla grande capacità organizzativa, riconosce a Terracini una singolare capacità di comporre i contrasti, che lo porta a dire: «Egli è stato veramente un gran Presidente e - direi - un Presidente nato perfetto!».
Nella I legislatura è nominato senatore con decreto del Presidente della Repubblica in base alla III disposizione transitoria della Costituzione. Dalla II alla IX legislatura è membro continuativamente del Senato e, pur essendo eletto per molte legislature anche nell'altro ramo del Parlamento, opta sempre per Palazzo Madama. Dalla III alla VI legislatura riveste la carica di Presidente del gruppo parlamentare comunista.
Rientrato per alcuni anni nella direzione del partito, Terracini è tra i protagonisti di molte battaglie parlamentari come quella contro la cosiddetta "legge truffa" (1953) e riveste un ruolo di primo piano in tutte le occasioni in cui si cercherà di superare gli ostacoli politici che si frappongono alla realizzazione degli istituti previsti dalla Costituzione.
Si dedica, inoltre, con particolare impegno all'attività di organismi di studio e associazioni interpartitiche come il Consiglio mondiale della pace, l'Associazione internazionale dei giuristi democratici, la Federazione internazionale dei movimenti di resistenza, la Società europea di cultura e l'Associazione dei perseguitati politici antifascisti, di cui è presidente dalla fondazione fino alla sua morte, avvenuta a Roma il 6 dicembre 1983.

Assemblea Costituente

Seduta dell'8 febbraio 1947

Nella seduta dell'8 febbraio 1947 l'Assemblea elegge il nuovo Presidente dopo le dimissioni di Giuseppe Saragat, intervenute a seguito della scissione di Palazzo Barberini. L'esponente comunista Umberto Terracini, già Vicepresidente dell'Assemblea, è eletto con 279 voti su 436 votanti. Nella stessa seduta Terracini pronuncia il suo discorso di insediamento in cui esprime innanzitutto il proprio impegno ad assolvere col più alto senso di responsabilità l'ufficio di «regolatore imparziale e diligente dei lavori dell'Assemblea ». Tale impegno, di per sé gravoso nella vita ordinaria di una nazione, impone una responsabilità tanto più solenne in riferimento a lavori su cui si appunterà la storia futura, che ricordando i sacrifici durissimi e i dolori infiniti sopportati dagli italiani, darà testimonianza dello sforzo compiuto, per proiettarsi verso un avvenire migliore. In vista dell'apertura del dibattito in plenaria sul Progetto di Costituzione, Terracini auspica che possa rinnovarsi lo «spettacolo di solidarietà spirituale e nazionale», che nella Commissione per la Costituzione e nelle Sottocommissioni ha contato sul concorso di consigli e di proposte di tutti, pur nella differenza di idealità politiche e sociali, nello sforzo di dare alla Repubblica un primo solido «bastione di legalità». Forte, infine, è la sua contestazione delle condizioni di pace imposte all'Italia attraverso il Trattato, sul quale dovrà pronunciarsi l'Assemblea stessa. Terracini ritiene che le condizioni in esso previste misconoscano l'estremo sacrificio sopportato dagli italiani per abbattere il fascismo, vero responsabile, prima ancora dei Governi dei popoli vincitori, dell'umiliazione imposta al Paese.