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Portale storico della Camera dei deputati

Maggioritario: uninominale a doppio turno (1848-1880)

La legislazione elettorale del Regno di Sardegna, che caratterizzò - con alcune limitate modifiche il primo ventennio dell'Italia unita - fu definita quasi contestualmente all'emanazione dello Statuto albertino (4 marzo 1848), con il Regio editto sulla legge elettorale 17 marzo 1848, n. 680.
La normativa elettorale del 1848, fortemente legata ai modelli costituzionali del liberalismo classico, era sostanzialmente censitaria e riservava il diritto di voto ai soli cittadini di sesso maschile di età superiore ai 25 anni che possedessero il requisito dell'alfabetismo e pagassero un'imposta diretta complessiva (censo) di almeno 40 lire in Piemonte, che scendeva a 20 in Liguria e Savoia. Per gli elettori residenti in Sardegna e per alcune categorie (artigiani, industriali, commercianti) il requisito del censo era sostituito da forme di accertamento induttivo della ricchezza, basati sul valore locativo dei beni immobili da essi posseduti.
Si derogava al requisito del censo per nove categorie di elettori (magistrati, impiegati civili a riposo dotati di una pensione superiore a 1.200 lire, professori delle università e delle scuole regie e provinciali, ufficiali, liberi professionisti, membri di accademie di scienze e delle camere di agricoltura), ammessi nelle liste elettorali sulla base di un criterio di capacità intellettuale. Il requisito del censo era inoltre dimezzato zer ulteriori categorie (notai, titolari della laurea etc.)
I deputati, il cui numero era fissato inizialmente in 204, erano eletti in altrettanti collegi uninominali a doppio turno. Era previsto un ballottaggio tra i due candidati maggiormente votati nel caso in cui, alla prima votazione, nessun candidato avesse ottenuto più di 1/3 dei voti degli aventi diritto e metà dei voti validamente espressi.
Completavano la legge la disciplina delle incompatibilità parlamentari e le norme relative all'iscrizione ed alla tenuta delle liste elettorali, devoluta ai comuni.
La normativa elettorale subalpina fu parzialmente modificata dalla legge 20 novembre 1859, n. 3778, adottata dal governo presieduto da Rattazzi in virtù dei pieni poteri conferiti con legge 25 aprile 1859, n. 3345, che, estendendo la legislazione piemontese alla Lombardia, aumentò a 260 il numero dei deputati, ampliò le dimensioni dei collegi e le tipologie dei requisiti di capacità per i quali si derogava al censo, ribadendo nel contempo - con alcune eccezioni - l'esclusione degli analfabeti dal diritto di voto.
Il numero dei collegi fu poi ulteriormente ampliato, a seguito dell'annessione delle province emiliane e della Toscana, con decreti del governatore dell'Emilia, Luigi Carlo Farini. (25 gennaio 1860) e del governatore della Toscana, Bettino Ricasoli (21 gennaio 1860), cosicché nelle elezioni del marzo 1860 il territorio del Regno fu diviso in 387 collegi, in luogo dei 204 dell'antico Regno di Sardegna.
In seguito all'annessione del Mezzogiorno, delle Marche e dell'Umbria, ratificata con plebisciti, ed alla formazione dello Stato unitario, fu definita una nuova legge elettorale politica, con la legge 31 ottobre 1860, n. 4385, che autorizzava il Governo "di regolare con Regii Decreti le circoscrizioni dei Collegi elettorali, per modo che il numero dei Deputati non sia mai minore di quattrocento, e che la cifra media degli abitanti, presa a norma per formare le circoscrizioni, non ecceda mai i cinquantamila", e con il r.d 17 dicembre 1860, n. 4513, che approvava una nuova tabella dei collegi elettorali ed estendeva a tutto il Regno la legge 20 novembre 1859, n. 3378.
Con queste norme, che adattavano alla nuova realtà unitaria l'originario impianto legislativo subalpino, venne a stabilirsi la legislazione elettorale che caratterizzò il primo ventennio del Regno d'Italia. I requisiti per il godimento dell'elettorato passivo e le norme sulla compilazione delle liste e sulla procedura elettorale rimasero, nella loro sostanza, i medesimi, mentre il numero dei collegi salì a 443. Ulteriori modifiche sarebbero derivate dall'annessione del Veneto a seguito della terza guerra di indipendenza, che portò i collegi al numero di 493,e poi, dall'annessione di Roma e del Lazio, che portò i collegi a 508.
La normativa elettorale in vigore tra il 1861 ed il 1882 creava una barriera di accesso al diritto elettorale attivo, limitandolo sostanzialmente alle élites politiche e sociali che avevano guidato il processo unitario. Una caratteristica rafforzata, sul piano dell'elettorato passivo, dalla norma dello Statuto albertino (art. 50) che escludeva la retribuzione delle funzioni di deputato e senatore. Nel contesto ancora rurale dell'Italia unitaria, la procedura elettorale conservava inoltre ancora molti elementi tradizionali, come il voto per delega ed un accertamento ancora rudimentale della sussistenza dei requisiti per l'ammissione nelle liste elettorali.