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Portale storico della Camera dei deputati

Presidenti

Giuseppe Biancheri

XII Legislatura del Regno d'Italia

Tornata del 9 marzo 1876

Presidente. Onorevoli colleghi, il sentimento che provo in me stesso nel riassumere quest'ufficio supremo che vi degnaste di nuovamente affidarmi, per verun altro mio lieto evento potrebbe essere maggiormente grato all'animo mio. Nessuna dignità, nessun grado, nessun onore, per quanto grande egli sia, potrei avere più caro di quello che mi fu conferito dalla fiducia che mi avete attestato, ed io ve ne rendo grazie, le più vive e le più distinte che per me si possa. Nella vostra benevolenza mi è forza indagare soltanto le ragioni che hanno potuto indurvi a persistere nella scelta della mia modesta persona; poiché ognora ricordo la povertà dei miei titoli e i men che scarsi miei meriti. Se, per altro, voi intendeste onorare chi serve la patria col culto d'un santo dovere, e ricerca nell'adempimento di esso la più ambita ricompensa; se miraste a dar prova come possa ogni cittadino in questo libero paese essere innalzato ai più elevati uffici, pago, quand'egli abbia a discenderne, se, avventurato, sia riescito non del tutto inutile alla pubblica cosa; se intendeste dimostrare come dal contrasto delle opposte opinioni non siano punto bandite da noi quelle consuetudini di amicizia e di deferenza reciproca che rendono dignitose le pubbliche quanto gradite le private relazioni; se vi è sembrato che a manifestare codesti vostri intendimenti, si dovesse conferire la più insigne distinzione che possiate impartire a me nato dal popolo e cresciuto alle più modeste aspirazioni, non d'altro desideroso che di concorrere al pubblico bene, superbo soltanto di possedere la stima e l'amicizia di quanti siedono in quest'Aula, io me ne compiaccio grandemente, considerando che, se a me è titolo di sommo onore la vostra benevolenza, a voi siano cagione di meritato encomio i sentimenti da cui vi è ispirata. Ché se vi fosse piaciuto tener conto eziandio del mio affetto profondo per questa nostra Italia e del mio desiderio ardentissimo di vederla potente e felice, conoscendo che da simili desiderii ed affetti siete voi tutti ugualmente animati, dovrei darmi il vanto di reputarmi la espressione sincera, abbenché umilissima, del vostro patriottismo. Onorevoli colleghi, i vostri studi e le vostre fatiche già assicurarono benefizi importanti alla nazione, già la meta anelata è prossima a raggiungersi, e lungo il penoso cammino percorso segnano i nostri passi le perdite dolorose di tanti uomini benemeriti e nostri colleghi dilettissimi, che sempre mi è grato ricordare con animo riconoscente. Ma forse che più nulla ci rimane a fare? L'unità della patria non ha forse d'uopo di essere fortemente, tenacemente assodata, distruggendo persino le ultime vestigia d'ogni antica divisione e sostituendovi un gagliardo, potente influsso di vita nazionale che da qui, da Roma debba spargersi per ogni dove? La sospirata indipendenza non deve forse essere pienamente tutelata mercè il complemento dei nostri ordini militari, e le opportune difese sì marittime che terrestri? La pubblica finanza non attende forse di essere pur una volta restaurata? L'amministrazione pubblica non richiede forse di essere in qualche sua parte semplificata e corretta? La patria legislazione armonizzata e compiuta, la pubblica istruzione più largamente diffusa, i commerci ravvivati, risanate le condizioni di talune provincie? Non è mia pretesa di tracciare il programma dei vostri lavori; l'augusta parola che poc'anzi ha risuonato in quest'Aula già ha accennato a quelli che vi sono assegnati per proseguire l'opera che abbiamo intrapreso. Ho piena fede che la giusta aspettazione del passo non sarà per essere delusa, sol che per devozione e amore alla patria vogliamo seguire l'esempio del nostro glorioso Sovrano, sol che imitiamo i valorosi nostri Principi nella scrupolosa osservanza della religione del dovere; stretti alla dinastia di Savoia da vincoli indissolubili di riconoscenza e di affetto, fedeli a quella bandiera su cui sta scritto Italia e Vittorio Emanuele, che sventolando da Palestro a Marsala, sola ebbe virtù di raccoglierci in una famiglia, lavoriamo con ardore indefesso a fare la grandezza e la prosperità della nazione. (Bravo! Bene!) Onorevoli colleghi: dacché mi onoraste della vostra fiducia non ebbi altro orgoglio che di serbarmene degno; il recente voto con cui mi richiamaste ad occupare questo seggio mi affiderebbe a sperare di aver conseguito il mio intento, sento, però, che peccherei di temerario ardimento se osassi attribuire a me stesso ciò che esclusivamente io devo alla bontà dell'animo vostro. Vogliate acconsentirmi soltanto che io vi affermi, con tutta lealtà e senza alcuna esitanza, di non essere mai venuto meno alle più rette intenzioni, né a quei principii d'imparzialità e di giustizia che attingo con sicurezza nella mia tranquilla e serena coscienza. Se attenendomi a questi principii, sempre alieno da ogni spirito di parte, mercè la continuata vostra benevolenza, ed il rigoroso adempimento dei miei doveri, potrò meritare la vostra approvazione, avrò allora ottenuto quell'unico premio che ardentemente ambisco. (Vivi applausi) Invito ora gli onorevoli segretari a recarsi ad occupare i loro posti. (I signori, deputati, segretari, salgono al Banco della Presidenza.) La Camera, essendo costituita, sarà mio dovere informarne Sua Maestà il Re ed il Senato del regno. Onorevoli colleghi! Se non avessi stimato essere un sacro mio debito di esprimervi innanzitutto la mia viva riconoscenza, di veruna cosa avrei osato intrattenervi prima di farmi sollecito a compiere insieme a voi il mesto dovere di ricordare con amarezza un recente lutto nazionale. Gino Capponi non è più; quella nobile e venerata esistenza si spegneva quasi subitamente nell'ultimo discorso di questa sospensione dei nostri lavori. Altri hanno profferito al cospetto del suo feretro parole eloquenti che attestarono dell'universale dolore: altri hanno narrato i di lui meriti preclari e gli tributarono giustissimi encomi; a me poco rimane ad aggiungere a quella solenne patriotica manifestazione. Dirò soltanto che l'Italia ha perduto in lui uno dei più illustri suoi cittadini, sia per grandezza di virtù, che per nobiltà di carattere e splendore d'ingegno. Gino Capponi era fra i pochi superstiti di quella generazione di uomini benemeriti che personificano il risorgimento della patria nostra. Egli l'amò con affetto profondo e ne sospirò l'indipendenza. Allorché le sue speranze andarono deluse, gli fu di conforto che le spente pupille gli togliessero di vedere come fosse tradita la sua fiducia. Gino Capponi che il cuore aveva pari alla mente, rivelò tutta la ineffabile sua bontà quando vennero per noi i giorni tristi dello sconforto; in lui trovarono sicuro appoggio quanti pativano per la patria e non cessavano di amarla; presso di lui convenivano gli uomini più insigni di cui si onorasse il paese, al suo focolare si alimentava e si serbava vivo il santo amore d'Italia. Egli non ne desiderò soltanto la libertà e l'indipendenza, ma fermamente ne volle l'unità, a raggiungere la quale contribuì grandemente coi consigli e coll'opera. Non parlerò del suo altissimo ingegno, dei preziosi suoi scritti, della sua vasta dottrina, del suo pensiero gagliardo e profondo, anche nella tarda sua età, quasi lasciando supporre che spenta la luce degli occhi, in lui si fosse fatta più sfavillante e più viva la luce dell'intelletto. Bensì ricorderò le sue austere virtù, la intemerata sua fede, la sua rara modestia e questa meravigliosa armonia del carattere e dell'ingegno, della quale egli traeva la sua inarrivabile perfezione. Gino Capponi era uno di quegli uomini che onorano la generazione e illustrano il paese a cui appartengono; era uno di quegli uomini il di cui nome è religiosamente tramandato ai posteri, per esserne l'ammirazione e l'esempio. Egli non è più: l'universale rimpianto che lo accompagnò nella tomba, già fece manifesto di quale aventura si sentisse colpita la nazione; e poiché a noi che ne siamo i rappresentanti non fu dato prima d'ora di poterne interpretare il cordoglio e il rammarico, rendiamo oggi un pietoso e solenne omaggio di gratitudine e di riverenza alla memoria di quell'egregio cittadino, e amaramente deplorandone la perdita, esprimiamo alla sua nativa e diletta Firenze la nostra più viva e sincera condoglianza. (Segni di viva approvazione)